CRITICA – Ventiquattro anni dopo aver restaurato il peplo, Ridley Scott torna nell'arena.
« Senza il nazismo non avremmo le chiavi di lettura Il Grande Mocio. » L'osservazione di Gaspard Proust non è del tutto assurda. Con l’antica Roma è un po’ la stessa cosa. Senza di essa non avremmo le chiavi per comprendere Gladiatore. Nel 2000, Ridley Scott diede colore al peplo, un genere caduto in disuso a Hollywood: allora non erano in molti a dire “Ferma il tuo carro armato, Ben-Hur!” » Ricoperto di allori e Oscar (tra cui miglior film e miglior attore per Russell Crowe), Gladiatore camminato sulle orme di Spartaco meno Kubrick, Kirk Douglas e la rivolta degli schiavi.
Scottato dalla sua accoglienza mista Napoleone – particolarmente deriso dagli storici e critici francesi, Galli irriducibili -, Ridley Scott torna nell'arena a gonfiare il petto. A 86 anni, il regista britannico getta nella battaglia le sue ultime forze. Non è solo una foto.
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