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[CINÉMA] Megalopoli, declino dell’America o declino di Coppola?

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Da Twixnel 2011, Francis Ford Coppola non ha più ottenuto nulla. Ed è riduttivo dire che il film ha deluso il pubblico, così come una parte significativa della critica. Inoltre, quando questo importante regista della New Hollywood annunciò che avrebbe diretto un progetto che gli stava a cuore da quarant’anni e i cui inizi risalgono alle riprese diApocalisse adesso nel 1979 (!), la nostra curiosità fu stuzzicata. Coppola sarebbe finalmente tornato in carreggiata dopo due decenni pietosi? Volevamo crederci, soprattutto perché il regista si è messo in gioco finanziando di tasca propria il budget di 120 milioni di dollari. Per farlo avrebbe venduto parte della sua vigna. E poi avremmo apprezzato che questo progetto dedicato alla moglie Eleanor Coppola, recentemente scomparsa, fosse un capolavoro. Ahimè, non è così…

Associando sincreticamente l’America contemporanea all’Impero Romano, lo scenario immagina il declino della città di Nuova Roma – pensata come una riscrittura di New York – allora in piena decadenza morale, economica e politica. In questo triste quadro che evoca il Tardo Impero e ci promette un inevitabile collasso, si contrappongono due uomini: Franklyn Cicero, sindaco della città, conservatore e sostenitore dello status quo, e César Catilina, artista-urbanista geniale che non ha mai giura solo sul progresso e sull’audacia creativa… Divisa tra i due, la figlia del sindaco, Julia Cicero, potrebbe essere la chiave per un compromesso.

Un accumulo di stereotipi

Se il desiderio di stabilire un parallelo tra il declino dell’America e quello di Roma è attraente sulla carta – come non pensare agli scritti di David Engels, che paragona l’Unione Europea a Roma? –, l’imaging sembra molto laborioso. Pompiere, kitsch, Coppola infila come perle tutti i possibili cliché sull’Impero Romano: i Saturnalia, la dissolutezza – tutta Felliniana – del Tardo Impero con le donne di facile virtù sdraiate sulle chaise longue, le intriganti effeminate e truccate , i giochi del Colosseo, e le persone – inevitabilmente stupide – che se ne divertono. Populofobico a morte, falsamente erudito, Coppola si crede superiore agli altri, cerca di farci ammirare le élite di superficie che ritrae e ritiene saggio inasprire ulteriormente la salsa aggiungendo Shakespeare ai riferimenti invocati: il sempiterno “Essere o non essere” che ogni artista di buon gusto dovrebbe astenersi dal citare continuamente, il monologo di Amleto è così logoro…

Progressismo, uno scudo contro il declino?

Più posato che mai, non molto sottile nell’approccio, Coppola dà vita a un’opera traballante, visivamente sgargiante (sembra la pubblicità di un profumo), dove la maggior parte delle sequenze si trascina, sono intercambiabili o prive di interesse narrativo. Per quanto riguarda l’affermazione generale, che elogia con compiacimento l’ideologia del progresso e disprezza o ridicolizza i leader populisti fingendo di non vedere che il progressismo ci ha proprio portato al declino che il regista deplora, raramente è stata così falsa, manichea e politicamente corretta – Coppola è davvero un uomo della sua sociologia… Il personaggio non capisce nulla del suo tempo e chiaramente non ha più molto da dire.

1 stella su 5

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