[STRICTEMENT PERSONNEL] Mayotte, perla al contrario

[STRICTEMENT PERSONNEL] Mayotte, perla al contrario
[STRICTEMENT PERSONNEL] Mayotte, perla al contrario
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I nostri connazionali… di Mamoudzou o Pamandzi. I nostri connazionali… di Petite-Terre e Grande-Terre. I nostri connazionali di Mayotte…, c’è tutto. Come te e me. Francese. Come noi. E forse anche un po’ più di alcuni di noi. Perché se sono diventati francesi solo cinquant’anni fa, nel 1974, lo hanno voluto, lo hanno voluto, lo hanno deciso, lo hanno votato. Nel 1976, sfidati a confermare o smentire questa strana follia, rinnovarono solennemente la loro scelta e, tagliando ogni legame con i loro fratelli nemici delle altre tre isole dell’arcipelago delle Comore, attraccarono il loro modesto kwassa kwassa al transatlantico , il cui pascià di turno , Valéry Giscard d’Estaing, è stato così gentile da portarli al seguito. Sono ancora lì.

Va detto che il loro “sì” alla Francia, ratificato da Parigi in virtù del diritto dei popoli all’autodeterminazione ma contestato da Onu e Unione africana in nome dell’intangibilità delle frontiere e dell’integrità territoriale delle Comore Lo Stato è arrivato nel momento sbagliato e contro la corrente dei principi e delle realtà dell’epoca. Questa annessione da parte della Francia di una terra africana, nell’atmosfera del XXe fine del secolo, si scontrò singolarmente con i principi e gli equilibri di potere allora prevalenti, e proprio con l’ondata di decolonizzazione che aveva visto i popoli dell’Asia e dell’Africa soggiogati dall’espansionismo occidentale liberare l’uomo bianco, ora con le armi, ora mediante separazioni amichevoli, dal presunto fardello che si era caricato sulle spalle.

L’attaccamento di Mayotte alla Repubblica francese, anche se conforme ai desideri della sua popolazione, andava quindi contro quello che all’epoca era generalmente considerato il senso della Storia, un concetto eminentemente plastico che molto spesso è solo la traduzione compiacente di il diritto del più forte. L’eccezione mahorese andava contro l’idea dominante secondo la quale il rapporto tra i popoli del Terzo Mondo e i paesi sviluppati non poteva basarsi che sull’aggressione, la sottomissione e lo sfruttamento dei primi da parte dei secondi. In questo caso, l’attaccamento della piccola isola alla Francia corrispondeva ad un’adesione volontaria, attraverso un voto libero e pacifico, e presupponeva ovviamente l’aiuto e l’assistenza della metropoli alla sua ultima e ben modesta espansione.

Un bilancio in cui il positivo e il negativo sono inestricabilmente mescolati

Qual è il risultato, mezzo secolo dopo? Il cataclisma meteorologico che ha appena colpito l’arcipelago delle Comore, risparmiando in gran parte Mohéli, Moroni e Anjouan, e devastando Mayotte, è stato un’occasione drammatica per elaborare un bilancio in cui il positivo e il negativo sono inestricabilmente mescolati.

I Mahorais sono veri e propri francesi o sono francesi in gran parte separati? Tra il Mozambico e il Madagascar, modesto isolotto la cui grandezza supera appena quella di Oléron o di Ré, Mayotte appariva due volte lontana. Geograficamente ma anche emotivamente. Lontano dagli occhi, ma forse anche lontano dal cuore. La Francia – e con questo non intendiamo solo lo Stato ma anche i francesi – ha veramente compreso e assunto la responsabilità che si è assunta adottando Mayotte?

La povertà, se si deve credere alla canzone di Aznavour, forse è meno dolorosa alla luce del sole. È venuto alla luce sulla scia del ciclone Chido. Mayotte si aggiudica a mani basse il poco invidiato titolo di “dipartimento più povero di Francia”, con un reddito pro capite sette volte inferiore a quello del continente, tre volte inferiore a quello della Martinica. Una situazione angosciante che il confronto con quella del resto delle Comore, otto volte più povere, o del Madagascar, venti volte più miserabile (!), non può consolare. La privazione di alcuni non porta felicità ad altri. Lo Stato, incapace di contare i vivi e i morti, ha dovuto miseramente riconoscere che tra un quarto e un terzo della popolazione locale era composta da Comoriani clandestini che, se hanno optato con il loro voto per l’indipendenza, votano con i piedi per attaccamento alla Francia, che si rivela incapace tanto di respingerli quanto di integrarli. La Francia, la quinta potenza mondiale cinquant’anni fa, oggi la settima, non ha saputo, cioè non ha voluto, garantire la prosperità e la sicurezza di coloro che le hanno riposto la loro fiducia indegna.

Parole non all’altezza

Le parole e i comportamenti dei personaggi che, istituzionalmente, incarnano il nostro Paese non sono stati all’altezza della tragedia vissuta dai Mahorai, quelli almeno che non sono rimasti sepolti sotto le macerie delle loro case o sotto le frane.

Il capo dello Stato, accorso sul luogo del disastro, ha creduto di potersi congratulare con se stesso per la fortuna che gli abitanti di Mayotte hanno di poter contare sulla Francia. Non era né il giorno né il luogo per garantire questo a sfortunate persone senza tetto, senza cibo e senza acqua. Quanto al primo ministro, che iniziava il suo nuovo incarico, inizialmente riteneva più urgente presiedere il suo consiglio comunale a Pau piuttosto che recarsi a Mayotte. È vero che il lutto nazionale, tardivamente dichiarato, era stato eclissato e abbreviato dalla sua stessa nomina. La visita improvvisata di François Bayrou e dei suoi principali ministri questo fine settimana sul luogo del disastro è un’ammissione, un maldestro tentativo di riparazione e di recupero. Non costituisce una risposta.

L’esempio di Notre-Dame de Paris deve ispirare i nostri leader, se la parola è adatta alla situazione. Lo slancio della beneficenza privata e la creazione di un’organizzazione speciale dedicata esclusivamente al restauro della cattedrale martire hanno consentito il miracolo della riapertura in tempo.

Il problema è diverso. Qui non sono le pietre, per quanto venerabili, per quanto legate alla nostra Storia, ad essere in questione, ma uomini e donne, francesi come noi, che soffrono e aspettano. Mayotte necessita di essere ricostruita, ma certamente non in modo identico, in lamiera e blocchi di cemento. Deve ridiventare la perla dell’Oceano Indiano, uno dei rari gioielli che Marianne, non erede della collana che re e repubbliche avevano intessuto in tutto il pianeta, può ancora allacciarsi al corpetto. E se la solidarietà popolare, come sembra, non c’è, tocca alle finanze pubbliche, e con urgenza, riparare i danni causati dalla violenza della natura e dall’incuria degli uomini. A tutti i costi.

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