Re del diversivo – Classe americana (1993) OSS 117. Il Cairo, nido di spie (2006), L'Artista (2011), Il temibile (2017)Taglio! (2022) –, Michel Hazanavicius si concede raramente un’uscita di “primo grado”. Non è diverso con il suo nuovo film, Il più prezioso dei beniche passa attraverso la doppia mediazione di un testo magistrale (il libro omonimo di Jean-Claude Grumberg, pubblicato nel 2019 a Seuil) e di due generi iperstrutturanti, il racconto e il cinema d'animazione, per evocare il destino di una ragazza ebrea salvata dalla I Giusti durante la Shoah. Mentre durante l’estate ha firmato un clamoroso articolo sulla condizione ebraica post-7 ottobre, in Il mondoquesto film lo avvicina niente di meno, e forse mai prima d'ora, a se stesso.
Cosa ti ha spinto ad adattare il testo di Jean-Claude Grumberg?
A decidere è stato il testo. Ero quasi passivo. Ho ricevuto le bozze del libro, innanzitutto perché Jean-Claude Grumberg è un vecchio amico dei miei genitori. Mi conosce da quando sono nato. E poi subito è arrivata la proposta di realizzare un film d'animazione, sempre su iniziativa di Jean-Claude, che conosceva i miei disegni e che mi ha consigliato al produttore Patrick Sobelman. Non sarebbe successo nulla, però, se non avessi amato il testo. Il libro mi ha scioccato. Questo passaggio laterale che è il racconto, questo approccio profondo e delicato a un argomento che conoscevo bene essendoci stato immerso da bambino, non lo avevo mai visto prima.
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Ma l’animazione non è la tua specialità…
E' vero. L'idea iniziale era quella di partire dal design dei personaggi che avevo creato e di lavorare con un co-regista specializzato. Ho provato due volte ma non ha funzionato. Mi sembrava che l'argomento fosse davvero troppo delicato, che dovessi assumermene tutta la responsabilità. Così ho intrapreso un lavoro collettivo con il team di animazione. Ci è voluto del tempo per definire un metodo, ma alla fine ha funzionato.
Quali erano le tue linee guida estetiche per l’animazione stessa?
Non ne avevo davvero uno. I miei disegni non pretendono di avere un proprio universo, vanno un po' in tutte le direzioni. La cosa più importante, per me, è stata avere la chiara consapevolezza che l’animazione era senza dubbio il mezzo più appropriato per affrontare un tema come la Shoah. Perché ti permette di raccontare senza mostrare. Il disegno non ricostruisce la realtà, la reinventa. Per me era fuori discussione chiamare degli attori per interpretare questa storia. Non possiamo mostrare che milioni di vite umane vengono strappate via, non ha senso.
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