Da Alexander Mendel in Conflicts:
La forza di uno slogan è l’appropriazione. Rendiamo l’America di nuovo grande (“Make America Great Again”) che ha accompagnato Trump per otto anni è diventato inseparabile dal suo movimento. Eppure è a Ronald Reagan che lo dobbiamo, il cui team della campagna, nel 1980, ha utilizzato un motto quasi simile “Rendiamo l’America di nuovo grande” (“restituiamo”: un imperativo piuttosto che un infinito… anche se c’è dibattito anche qui, il Fare che potrebbe significare “Restituisci…”). Reagan, appunto, occupa le sale cinematografiche americane, con il film biografico dedicato al presidente conservatore che occupò la Casa Bianca dal 1981 al 1989. Nel ruolo di “Ronny”, Denis Quaid che caricaturizza le espressioni facciali del capo dello Stato in modo così stupido che si potrebbe pensare che sia venuto a esibirsi in uno spettacolo di Patrick Sébastien il sabato sera. Disprezzato dalla critica americana che lo vede come un’opera convenzionale e priva di prospettiva su questo ex attore di serie B che è diventato il vincitore del comunismo, Reagan (il regista, Sean McNamara, non si è preoccupato del titolo!) non dovrebbe nemmeno uscire nelle sale in Francia… Tuttavia, contro ogni aspettativa, è un successo negli Stati Uniti, in pieno periodo elettorale. La stampa non ha rivisto il suo giudizio sul film, ma vede questo successo come conseguenza della campagna in corso. Reagan non è Trump e l’America ha bisogno di un conservatorismo vecchio stampo, lontano dalle provocazioni del miliardario, credono di saperlo gli editorialisti newyorkesi per consolarsi.
Criticato, elogiato dal pubblico
Perché Reagan è il repubblicano che i democratici di oggi rispettano e citano a ogni piè sospinto… Quasi un modello quando lo odiavano negli anni ’80. Che manna dal cielo l’uscita di questo film che ripercorre l’infanzia povera, con un padre alcolizzato, di un Reagan che ha lottato per ottenere ruoli in western di serie B! Insomma, Trump non è l’erede, nato con la camicia.
L’autore di queste righe è andato a vedere il film una domenica in un cinema di Cintura della ruggine nella Pennsylvania occidentale, non lontano da Pittsburgh… La concorrenza era feroce tra Succo di Beetle E Garfield. Eppure il cinema era quasi pieno. Gli americani sono dimostrativi quando vanno al cinema. Quando Reagan critica il comunismo, noi applaudiamo. Quando (ed è così che inizia il film) Reagan è vittima di un attentato, noi tratteniamo il fiato tra due manciate di popcorn. Il film esagera i sovietici all’estremo. Brežnev? Un alcolizzato completamente stupido. Gorbaciov? Un burocrate che si lascia sedurre dal sogno americano. Reagan sapeva come parlare ai russi: “Abbatti questo muro, signor Gorbaciov!” Questo è ben lontano da ciò di cui i democratici rimproverano a Trump: la sua presunta ammirazione per Putin.
Trump/Reagan, ritratto incrociato
Nel 2016, Donald Trump citò Ronald Reagan come esempio. Era appena stato nominato candidato di un Partito Repubblicano il cui apparato era ancora gestito da ex quadri reaganiani: avevano bisogno di essere rassicurati. Come Reagan, Trump era prima un democratico. Reagan era un attore, Trump un conduttore televisivo. Otto anni dopo, l’ex governatore della California non viene più menzionato nei discorsi di Trump. Perché il Partito Repubblicano è ormai un sottoprodotto del trumpismo: non ha più bisogno di rassicurare o convincere un apparato che controlla dalla A alla Z. Gli stessi elettori del GOP sono cambiati. yuppie d’oro Gli esponenti di Wall Street non votano più per la destra, preferendo i Democratici, i grandi difensori del libero scambio e della globalizzazione.
I critici cinematografici ci assicurano che il film su Reagan in realtà contiene un messaggio nascosto contro il trumpismo. Reagan era nemico delle dittature (il che è tanto più falso perché ammirava il generale Pinochet, per esempio) mentre Trump le corteggia. Soprattutto, dicono, Reagan incarnava l’ottimismo, da qui il suo slogan di rielezione del 1984: “È mattina in America” (“Il sole sorge sull’America”). Mentre Trump continua a parlare di un “nazione in declino” o anche “sotto distruzione”.
L’ex star della Fox News passato alla CNN, il giornalista Chris Wallace è categorico: “Oggi, non ci sarebbe posto per Reagan nel Partito Repubblicano. Reagan era per il libero scambio, Trump era per i dazi. Reagan non avrebbe mai detto niente di male su un altro Repubblicano.”
Nostalgia per l’America
L’inaspettato trionfo del film biografico riflette anche il malessere della società americana. Un malessere venato di nostalgia per un’America in via di scomparsa. Gli anni di Reagan iniziarono sotto gli stessi auspici di quelli di un ipotetico secondo mandato di Trump: una crisi in Medio Oriente, un’inflazione ancora alta e combustibili fossili ancora costosi. I 40e Il presidente aveva spazzato via la tristezza degli anni di Carter. L’America stava andando bene. Il cinema stava producendo successi come il I Goonies O Ritorno al futuro. Il Paese era invidiato. E soprattutto gli Stati Uniti hanno sconfitto il comunismo senza sparare (o quasi) un solo colpo. Il contrasto con gli anni di Biden è impressionante: un ritiro deplorevole dall’Afghanistan, la cultura svegliato ha invaso gli schermi e il candidato democratico propone il congelamento dei prezzi! È questo ricordo della grandezza dell’America che lo spettatore viene senza dubbio a vedere oltre Atlantico… Tanto che lo stesso Partito Repubblicano organizza delle sedute di cinema per i suoi membri. Come se anche lui fosse nostalgico.
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