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La morte di Pierre Alferi, singolare scrittore

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Pierre Alferi, a Parigi, nel 2007. ANNE LISE BROYER

Nell’apprendere della morte di Pierre Alferi, mercoledì 16 agosto, a Parigi, all’età di 60 anni, si prova l’immediata, struggente, quasi egoistica tristezza di perdere uno scrittore meraviglioso: meravigliosamente singolare e sorprendentemente plurale, i cui libri piacciono di più più diversi vennero, nel corso degli anni, a completare con regolarità e una certa malizia un’opera sempre in movimento – vivente nell’estremo, all’incrocio tra poesia, romanzo, cinema, musica, filosofia, arti plastiche e persino, si potrebbe dire, scienza e tecnologia.

Ormai chiusa dalla morte, quest’opera resta tuttavia aperta, offerta per il futuro a tante letture che certamente merita. È opera di un filosofo di formazione, lui stesso figlio di un filosofo: primogenito di Jacques Derrida (1930-2004) e della psicoanalista e traduttrice Marguerite Aucouturier (1932-2020), Pierre Alferi ha studiato all’Ecole Normale superior del rue d’Ulm, passa l’aggregazione, poi difende sotto la direzione di Louis Marin una tesi sul pensatore e teologo medievale Guillaume d’Ockham (intorno al 1285-1349), che diventerà poco dopo il suo primo libro, Guglielmo di Ockham il singolare (Mezzanotte, 1989).

Un chiaro gusto per il gioco d’azzardo speculativo

Discreto quanto alle sue origini, adottando per la vita pubblica il nome della nonna materna, Pierre Alferi è tuttavia fedele a un certo spirito di Derrida, al quale rende un discreto omaggio nel suo ultimo libro pubblicato, Vari caos (POL, 2020): “Non dimentico la cartolina/biglietto di mio padre” (allusione al famoso libro di Jacques Derrida, Cartolina. Da Socrate a Freud e oltre, Aubier-Flammarion, 1980). Ha la stessa curiosità filosofica, un evidente gusto per il gioco speculativo e una rigorosa attenzione agli oggetti che possono rivelarsi inaspettati, oltre a un formidabile senso dei titoli: Kub oro; FMn; Giornata sentimentale; Dopo di te ; kiwi (1994; 1994; 1997; 2010; 2012, tutti alla POL), o anche Il cinema di famigliaun romanzo che rinnova felicemente il genere autobiografico immaginando la storia filmata da un bambino, fin da piccolo, di “mamma padre” E “Mammer” (POL, 1999).

Prima poeta, che a partire dagli anni ’90 pubblicherà numerose raccolte e saggi, Pierre Alferi ha mostrato presto la sua propensione alla condivisione della creazione e alla compagnia amichevole. Collabora così (sotto il nome di Thomas Lago) con il musicista e cantante del gruppo Kat Onoma Rodolphe Burger, che rimarrà una sorta di complice privilegiato, dalla creazione nei primi anni 2000 del Cinépoèmes e film sonori, fino alla loro ripresa su vari palcoscenici francesi la scorsa primavera. Lavora con lo scultore Jacques Julien, scrive un disco con Jeanne Balibar (Con amore2003), partecipa alla creazione di spettacoli con la coreografa Fanny de Chaillé, anima con la fotografa Suzanne Doppelt la rivista Dettaglio e dirige con Olivier Cadiot, nel 1995 e nel 1996, i due numeri di una pubblicazione che non è eccessivo qualificare come storica: il Revisione generale della letteratura, dove si legge qualcosa come il riassunto della creazione poetica per il passaggio al secolo successivo. Infine, è traduttore (di John Donne, Giorgio Agamben, John Ashbery…) e professore all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi.

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