Scomparsa
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Gli anni Cinquanta, il cui straordinario lavoro ha dato il posto d’onore ai personaggi femminili, sono partiti la mattina, questo lunedì 31 luglio. Aveva appena finito di girare il suo settimo lungometraggio, “My Life, My Face”.
Ci sono notizie che ci rifiutiamo di accettare o anche solo di ammettere, che sfugge alla coscienza, la elude, anche se sappiamo (molto) male e (molto) poco dell’interessato. La regista Sophie Fillières è partita questo lunedì mattina, era malata e ricoverata in ospedale, aveva 58 anni, non aveva dubbi sull’esito della sua malattia, che ha accolto con favore “pacificamente”, dicono i suoi parenti, per quanto una cosa del genere sia possibile. Lascia un’opera coerente e ricca di una mezza dozzina di lungometraggi, diversi cortometraggi, sceneggiature, e un punto di vista, uno stato d’animo, un modo di guardare il mondo e gli altri, di cogliere i legami, di intrecciarli, o per spezzarli che appartenevano solo a lei. Aveva appena finito di girare il suo settimo lungometraggio, La mia vita, la mia bocca, con Agnès Jaoui e Philippe Katerine, un film personale – lo sono tutti – e senza dubbio il più direttamente autobiografico, come indica il titolo, e che vorremmo subito vedere. La mia vita, la mia bocca, quello di una donna di età pari o superiore a 55 anni, che “può essere stata bella, può essere stata amata, può essere stata una grande amante, può essere stata una buona madre per i suoi figli… e oggi, a volte è cupa, a volte violenta, e come fare con se stessa e con gli altri? essenzialmente racconta la sinossi.
La bella e la B
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