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Come i comproprietari cercano di controllare gli alloggi turistici ammobiliati

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Robert Herhold/AdobeStock

A Parigi gli affitti brevi sono un fenomeno esponenziale da diversi anni. Ciò è motivo di preoccupazione per i comproprietari interessati. La Corte di Cassazione ha chiarito in che misura la clausola dell’edilizia borghese consente ai comproprietari di limitare questo tipo di attività all’interno del proprio immobile.

176 milioni di pernottamenti, 43 milioni di euro di fatturato, 362.000 equivalenti a tempo pieno, quasi 5 miliardi di euro di gettito fiscale di cui 300 milioni di euro di tassa di soggiorno: sono questi i dati di uno studio pubblicato dalla società di consulenza Deloitte nell’aprile 2024 sull’attività di il colosso californiano degli affitti turistici in Francia. Evidenzia il crescente impatto dell’attività di ospitalità turistica ammobiliata sul nostro territorio.

Parigi, una destinazione di punta su Airbnb

La start-up californiana è arrivata sul mercato francese nel 2010 e ha rivoluzionato l’economia degli affitti a breve termine. La Francia è diventata il secondo mercato più grande per Airbnb, dietro agli Stati Uniti. Parigi è così diventata una destinazione di punta per la start-up californiana. Già nel 2015 quest’ultimo si rallegrava che la Ville Lumière fosse diventata la capitale mondiale degli affitti privati, con 1,8 milioni di visitatori a Parigi e 44.000 annunci di locazione.

Preoccupazioni nelle comproprietà parigine

Uno studio realizzato un anno dopo dall’Associazione per l’alloggio professionale e il turismo (Ahtop), in collaborazione con Harris Interactive, ha evidenziato le preoccupazioni generate da questi affitti a breve termine nelle comproprietà parigine. Quasi un intervistato su due ritiene che queste piattaforme possano avere conseguenze negative sulla comproprietà, soprattutto in termini di sicurezza (65%) e inquinamento acustico (60%). Il 72% dei parigini ritiene che dovrebbero essere avvisati se nel loro edificio dovesse essere realizzato un progetto di locazione a breve termine. Il 71% di loro vorrebbe che il loro numero fosse limitato. E il 62% opterebbe per il previo accordo del fiduciario o della comproprietà. Queste preoccupazioni sono lungi dall’essere alleviate, con lo sviluppo esponenziale degli affitti a breve termine che moltiplica i potenziali fastidi.

La nozione di clausola borghese

Le comproprietà che mirano a regolamentare o limitare l’attività degli alloggi turistici ammobiliati si basano generalmente sulla clausola dell’edilizia borghese che, classicamente inserita in un regolamento di comproprietà, impone ai comproprietari o ai loro inquilini di utilizzare i loro lotti solo per scopi residenziali, per l’esclusione di qualsiasi attività commerciale, artigianale o industriale. Gli affitti turistici ammobiliati sono definiti dall’articolo D. 324-1 del Codice del Commercio come “ville, appartamenti o monolocali arredati, ad uso esclusivo dell’affittuario, offerti in affitto a clienti di passaggio che effettuano un soggiorno caratterizzato da un affitto da parte di giorno, settimana o mese e chi non vi prende residenza. In che misura un’attività turistica ammobiliata può essere assimilata ad un’attività commerciale e quindi resa impossibile dall’operatività di una clausola abitativa borghese?

Sentenze della Cassazione favorevoli alle comproprietà

La Corte di Cassazione inizialmente (Cass. 3e civ., 8 marzo 2018, n° 14-15864 et Cass. 3e civile, 27 febbraio 2020, n° 18-14305) sembrava confermare la natura commerciale dell’attività di locazione stagionale, rafforzando l’impossibilità di svolgere tale attività in comproprietà per destinazioni borghesi. Tuttavia, gli specialisti hanno sottolineato che queste sentenze avevano sanzionato attività di locazione a breve termine molto specifiche: da un lato, monolocali arredati risultanti da una divisione illegale di lotti di comproprietà, accompagnati da un certo numero di paraservizi. alberghi e, dall’altro, un’attività di locazione svolta da una società, esercitata su 39 alloggi in un edificio comprendente complessivamente 60 lotti.

La definizione di attività di noleggio a breve termine di natura commerciale

Nel 2024 una nuova sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito in che misura un’attività turistica arredata debba essere considerata un’attività commerciale (Cass. 3e civ., 25 gennaio 2024, n. 22-21455). Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ritiene che, nei limiti in cui l’attività svolta dalla società di locazione nell’immobile non era accompagnata da alcuna prestazione di servizi accessori o soltanto da servizi minori non aventi carattere di «servizio para-alberghiero» , l’attività di locazione non può essere considerata un’attività commerciale.

Criteri specifici

La Corte di Cassazione chiarisce la situazione sulla base dell’articolo 261 D del Codice Generale delle Imposte, che definisce l’affitto commerciale rientrante nell’ambito di applicazione dell’IVA. Secondo questa soluzione l’affitto breve può essere considerato un’attività commerciale solo quando l’affitto è accompagnato da almeno tre tipologie di servizi:

  • fornitura della colazione;

  • pulizia regolare dei locali;

  • fornitura di biancheria per la casa;

  • accoglienza, anche se non personalizzata, da parte dei clienti.

La frequenza del via vai degli inquilini, il fatto che l’immobile compaia su una piattaforma di intermediazione locativa e la tipologia dell’arredamento dell’appartamento non consentono di concludere che esista un’attività commerciale di locazione. Lo stesso vale per i servizi opzionali come la fornitura di servizi di pulizia, i trasferimenti all’aeroporto o anche la fornitura della colazione. La fornitura di questi servizi aggiuntivi, quando facoltativa, non consente di equiparare lo sfruttamento dell’immobile ad un’attività commerciale.

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