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Per il suo ritorno, Bad Bunny attinge alle radici della musica portoricana

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Il cantante portoricano Bad Bunny durante il suo “Most Wanted Tour” al Kaseya Center di Miami il 24 maggio 2024. EVA MARIE UZCATEGUI / AFP

E se la musica di Bad Bunny fosse stata la migliore risposta dei portoricani agli eccessi di Donald Trump, presidente eletto degli Stati Uniti, di cui uno degli autisti aveva descritto il Paese “isola galleggiante della spazzatura” durante un incontro al Madison Square Garden di New York, il 27 ottobre 2024?

Il successo di questo artista, uno dei più ascoltati al mondo insieme a Taylor Swift, The Weeknd e Kendrick Lamar, è una feroce risposta a questa metafora razzista pronunciata durante questo evento. Bad Bunny, il cui vero nome è Benito Antonio Martinez Ocasio, ha pubblicato il suo nuovo album domenica 5 gennaio, il giorno prima del Dia de Reyes (Giorno dei Re), la festa emblematica del suo paese, Avrei dovuto fare più foto (“Avrei dovuto fare più foto”). Fin dai suoi modesti esordi sulla piattaforma SoundCloud, il rapper portoricano, 30 anni, naviga tra reggaeton e hip-hop, pop e salsa, ed è riuscito a conquistare la cultura popolare anglosassone, rimanendo fedele alla sua lingua, lo spagnolo, una lingua vero manifesto contro il monopolio della cultura pop americana.

Nostalgico, ripercorre i momenti salienti della sua vita, da qui questo titolo sotto forma di rammarico per non aver conservato più tracce del suo viaggio. L’album è accompagnato da un cortometraggio trasmesso su YouTube. Un vecchio con le scarpe da ginnastica trova lì la sua terra e dice: “ Ho viaggiato in molti paesi e niente è come Porto Rico. »

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