“Senza titolo” (1979), di Verena Loewensberg. Pioniera dell’arte concreta, l’artista è rimasta a lungo nell’ombra dei suoi coetanei (maschi), più dotati di autopromozione. L’opera di Loewensberg è finalmente riscoperta.
© Fondazione Verena Loewensberg, Zurigo
Un recente lavoro dedicato ai pionieri dell’arte concreta colma una lacuna nella storia di questo movimento nato in Svizzera e che ha avuto influenza internazionale nel XX secolo. Uno dei coautori del libro, Thomas Haemmerli, sottolinea quanto questo movimento abbia contribuito alla crescita del design in Svizzera, dove la scuola è fiorita.
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8 dicembre 2024 – 09:00
Classe 1964, Thomas Haemmerli appartiene alla generazione che ha devastato le strade di Zurigo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. All’epoca non sarebbe stato appropriato parlargli di un’arte, l’arco di cemento, che odiava. Il movimento “Züri brännt” seguì le orme delle rivolte studentesche della fine degli anni ’60.
Ma i tempi sono cambiati. Thomas Haemmerli è oggi riconosciuto per il suo lavoro come regista di documentari. È autore, insieme alla critica d’arte Brigitte Ulmer, di “Circle! Piazza! Progressi! Zurich’s Concrete Avant-Garde” (Cerchio! Quadrato! Progresso! L’avanguardia dell’arte concreta a Zurigo), un libro per comprendere meglio l’importanza dell’arte concreta in Svizzera e nel resto del mondo negli anni ’20e secolo. E la cui eco risuona nell’arte contemporanea.
Pubblicato in inglese e tedesco, questo libro colma una lacuna nella letteratura sull’arte concreta, quasi inesistente in queste lingue.
Scheidegger & Spiess, Zurigo
Brigitte Ulmer e Thomas Haemmerli mettono in luce anche artisti diversi da Max Bill, figura tutelare di questo movimento, per spiegare i fondamenti dell’arte concreta. Viene messo in risalto il lavoro di Camille Graesser, Verena Loewensberg e Richard Paul Lohse, che amplia il campo di studio di questo movimento.
Thomas Haemmerli e Brigitte Ulmer.
Felix von Muralt
A parte le ricerche pubblicate su questa epopea artistica in francese o spagnolo, finora erano state pubblicate poche opere in tedesco o inglese sull’argomento. Aprendo questo libro il 20 novembre presso la Scuola di Architettura dell’Associazione Architettonica (AA), gli autori hanno voluto anche dimostrare che quest’arte può tessere una vasta rete: architettura, tipografia, fotografia, grafica. Un po’ come aveva pesato un tempo la scuola Bauhaus, di cui Max Bill aveva fatto parte nella prima metà degli anni ‘20e secolo.
Dall’avanguardia all’universalità
I seguaci dell’arte concreta trovarono la loro ispirazione anche nelle forme, idee e pratiche del movimento olandese De Stijl, così come nel costruttivismo sovietico degli anni ’20. L’integrazione di queste diverse componenti avvenne allora in una Svizzera neutrale, mentre il Secondo Mondo La guerra infuriava.
Per Thomas Haemmerli è dal 1945 che il design grafico svizzero comincia a diventare un punto di riferimento in tutto il mondo. Un vecchio grafico tedesco gli aveva detto un giorno, racconta, “che le scuole di Arti applicate in Svizzera erano eccellenti e soprattutto che erano sopravvissute. Cosa che non è avvenuta nel resto del continente. Molti dei suoi colleghi erano morti. E dopo la guerra mancarono le scuole per sviluppare queste competenze.
>> Dagli archivi della televisione pubblica svizzera: Festa del 60° compleanno di Max Bill al Kunsthaus di Zurigo, 1968.
Le linee guida dell’arte concreta difese da Max Bill in testa si nutrono dei movimenti d’avanguardia dell’inizio del XX secolo. Come nel caso di Dada, a partire dal 1916 e già a Zurigo, l’arte concreta metteva in discussione le nozioni borghesi di bellezza e gusto.
Fu diventando nota negli Stati Uniti, in Giappone o in America Latina che quest’arte cominciò a lasciare il segno. Al punto da farsi prendere anche dalla “establishment”. Le opere si ritrovarono poi proiettate nelle gallerie e nelle riviste, perfino nelle sale d’attesa dei dentisti. Quest’arte che Thomas Haemmerli e i giovani degli anni ’80 avevano disprezzato.
Critici a destra e a sinistra
SWI swissinfo.ch: In quale ambiente è nato questo movimento artistico sulle rive della Limmat negli anni ’30?
Thomas Haemmerli: Il buon gusto borghese si riferiva alle copie dell’arte classica e pomposa. Quando apparve l’arte concreta, sorsero attacchi per difendere questa ortodossia. Poi arrivò il fascismo.
In Germania, il regime nazista cominciò a vietare quella che allora chiamava “arte degenerata” o “Entartete Kunst”, culminando con la censura della mostra a Monaco nel 1937. In Svizzera, parte della borghesia aveva applaudito. Anche a sinistra.
Ciò rafforzerebbe l’idea che la Svizzera è un paese conservatore tanto a destra quanto a sinistra?
A quel tempo tutta la sinistra europea denigrava l’arte moderna. Sia la corrente stalinista che i socialdemocratici.
Dadaismo puro: “ABCD” (Raoul Hausmann, 1923).
Copyright The Granger Collection, New York / The Granger Collection
Il romanzo “Geschmeiss um die Blendlaterne” (Gli insetti intorno alla lampada) di uno psichiatra e politico di sinistra zurighese pubblicato nel 1933 riflette molto bene il clima prevalente. È un romanzo a più strati, molto critico nei confronti dei dadaisti.
Il suo autore, Charlot Strasser, li odiava perché, scriveva, “la loro arte e le loro poesie sono pazze”. Ha individuato questi circoli per il loro uso di droghe e si è indignato perché la maggior parte, secondo lui, proveniva dall’estero e aveva una cattiva reputazione. Ha aggiunto che tra questi artisti c’erano sicuramente anche trafficanti di armi.
Vale la pena ricordare che gran parte del movimento operaio dell’epoca si opponeva allo stile di vita bohémien incarnato dai dadaisti. I seguaci dell’arte concreta, che non erano bohémien, sconcertavano il mondo del lavoro con i loro cerchi e quadrati.
>> Dagli archivi della televisione pubblica svizzera: Max Bill spiega il suo lavoro (1968):
A differenza dei dadaisti, che provenivano in gran parte dall’estero e lasciarono la Svizzera dopo la guerra, i sostenitori dell’arte concreta erano prodotti locali. Ci sono mai stati antagonismi tra queste due correnti?
Le opinioni divergono sulla questione. A Zurigo si usa dire in modo caricaturale che i dadaisti provenivano da altrove. Omosessuali, cattolici, festaioli, tossicodipendenti e appassionati dello stile di vita bohémien. Mentre i “concreti” erano protestanti sobri e di tendenza razionale.
Copertina (a destra) e ultima pagina (a sinistra) del catalogo della prima mostra di arte concreta al Kunsthaus di Zurigo (1936), intitolata “Problemi contemporanei della pittura e della scultura svizzera”. Max Bill ha scritto il testo, ha curato l’impaginazione, ha inserito un annuncio della sua agenzia pubblicitaria (ultima pagina) e ha portato in mostra più opere del previsto.
Scheidegger & Spiess, Zurigo
Ma stiamo attenti a queste semplificazioni. Negli scritti di Max Bill apprendiamo, ad esempio, che gli scambi tra loro continuavano. Se lo zoccolo duro del movimento Dada era costituito da stranieri, ne facevano parte anche gli artisti svizzeri. A cominciare da Sophie Taeuber-Arp.
Sophie Taeuber-Arp figura sulla banconota da 50 franchi dell’ottava serie di banconote della Banca nazionale svizzera (1995-2021).
KEYSTONE/Gaetan Bally
Perché è così importante?
Professoressa alla Scuola di Arti Applicate, realizza molto presto opere geometriche dipinte e tessute. L’hanno vista ballare anche durante le serate Dada a Zurigo.
Si diceva che dovesse travestirsi per evitare di rischiare il lavoro a scuola. Anche Max Bill è stato uno dei suoi studenti per un certo periodo.
Un’altra prova dei legami che uniscono i due movimenti: anche l’artista olandese Theo Van Doesburg, a cui si deve il termine “arte concreta” e che è alla base del movimento De Stijl, aveva adottato uno pseudonimo Dada.
Molti artisti non volevano entrare in questo tipo di divisione.
Nel tuo libro dici che Sophie e Hans Arp hanno fatto da ponte tra questi due campi. Sophie Taeuber-Arp è stata recentemente “riscoperta”. Fino a pochi anni fa, nella grande narrativa del modernismo, era solo la moglie di Hans Arp. Ma, come lei sottolinea, su questo punto lei ha avuto un ruolo molto più fondamentale di suo marito.
Artista, appassionata di jazz, madre single e unica fonte di reddito per la sua famiglia: Verena Loewensberg nel 1954.
Eva Simon, Bruxelles
Assolutamente. Era molto più importante e interessante.
Negli anni ’70, quando l’arte venne rivalutata alla luce dei movimenti femministi, l’arte concreta appariva fredda a questi ultimi. Degno dell’arte maschile mentre le forme rotonde e morbide erano richieste in un mondo dove l’arte era divisa in due.
Le artiste che lavoravano con forme geometriche non erano praticamente autorizzate ad apparire in alcune mostre, sospettate di avere un patto artistico con uomini.
Questo è quello che è successo a Verena Loewensberg, vista come difensore della mascolinità, non come artista donna.
Testo riletto e verificato da Catherine Hickley/gw, tradotto dall’inglese da Alain Meyer/dbu
Le curve dipinte da Verena Loewensberg l’hanno portata oltre i suoi compagni appassionati di piazza, verso la pop art e l’arte ottica. “Senza titolo”, 1969.
© Fondazione Verena Loewensberg, Zurigo
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