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Una cronaca palestinese sulla tensione tra tradizioni ed emancipazione

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Il film esplora i destini che si intersecano di una famiglia borghese palestinese ad Haifa, dove ogni personaggio porta con sé un fardello. L’ambiziosa matriarca Hanane fatica a mantenere le apparenze organizzando un matrimonio sontuoso nonostante una crisi finanziaria. Sua figlia Layla rappresenta una generazione divisa tra aspirazioni personali e aspettative familiari. Fifi, sopravvissuta a un incidente stradale, incarna la ricerca del perdono e dell’amore in una società in cui l’onore della famiglia ha la precedenza.

La narrazione, frammentata ma coerente, si basa su una struttura che cattura frammenti di vita, rafforzando l’autenticità dei racconti. Copti fa affidamento su dialoghi improvvisati, una scelta che aggiunge una cruda sincerità alle interazioni tra i personaggi.

Visivamente, Happy Holidays eccelle nella rappresentazione dell’intimità. La fotografia abbraccia i codici del realismo sociale, catturando interni caldi, gesti ordinari e rituali condivisi. Questo sguardo dettagliato sugli spazi domestici trascende il semplice aneddoto per rivelare un universo in cui costumi e quotidianità si scontrano con le aspirazioni al cambiamento.

Il montaggio, risultato di 300 ore di riprese, esalta questa fluidità narrativa e riflette una tensione permanente tra momenti di introspezione e confronto.

Linguaggio del corpo ed emozioni

Scandar Copti fa la scommessa coraggiosa di lavorare con una distribuzione non professionale. Questa scelta dà vita a performance di disarmante autenticità. L’improvvisazione, padroneggiata grazie alla rigorosa direzione degli attori, rivela emozioni crude, rendendo ogni scena vibrante di verità. Fifi, interpretato da Manar Shehab, illustra in particolare questa sensibilità attraverso una ricca tavolozza emotiva, tra senso di colpa e ricerca dell’amore.

Happy Holidays trascende la sua apparente attenzione ai drammi familiari per collocare la sua storia in una riflessione più ampia sulla società palestinese nel 1948. Se l’occupazione non è l’argomento centrale, aleggia comunque come un contesto sottostante, permeando le questioni sociali e i dilemmi personali.

Adottando una prospettiva femminile, il film sfida le norme patriarcali evidenziando il ruolo cruciale dell’emancipazione femminile nell’evoluzione delle società. Questo punto di vista universale invita a una riflessione che va oltre i confini geografici e culturali, avvicinando gli spettatori alle questioni globali.

Copti offre un’esperienza cinematografica che mescola l’intimo con il politico. Lontano da rappresentazioni stereotipate, questo film disegna un ritratto sfumato e universale di una comunità alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e modernità.