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In “Non abbiamo avuto il tempo di salutarci”, il narratore Rachid Bouali intreccia storie d’infanzia e storia francese

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Rachid Bouali nel suo spettacolo “Non abbiamo avuto il tempo di salutarci”, nel novembre 2023. Mattis Bouali

Rachid Bouali ha già attinto ampiamente ai suoi ricordi d’infanzia per nutrire una trilogia di spettacoli autobiografici, Città di Babele (2006), Un giorno andrò a Vancouver (2009) et Il giorno in cui mia madre incontrò John Wayne (2012). Un’infanzia piuttosto felice nel quartiere HLM di Lionderie, situato a Hem vicino a Roubaix (Nord) e popolato da famiglie provenienti da Algeria, Marocco, Tunisia, Spagna, Polonia, Italia, per lavorare nelle fabbriche francesi dopo la seconda guerra mondiale.

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Con due figure che hanno segnato questo periodo della sua vita, i suoi genitori, entrambi originari dell’Algeria, delle montagne della Cabilia. Negli anni ’60, suo padre dovette decidere di lasciare il suo paese, prima per sfuggire alla povertà di un villaggio di pastori e venire a lavorare in Francia, poi in cerca di manodopera per mandare avanti le sue fabbriche nel mezzo dei “trenta gloriosi anni”. Sua moglie e sua figlia si unirono poi a lui e la famiglia crebbe gradualmente con la nascita di Rachid Bouali e di altri figli.

Due eventi recenti hanno aggiunto una dimensione più oscura ai ricordi di Rachid Bouali: un progetto immobiliare ha portato alla distruzione della città della sua infanzia da parte dei bulldozer e, contemporaneamente, suo padre è morto lentamente all’ospedale. Queste due sparizioni lo hanno spinto a fare nuovamente un tuffo nel passato e a far rivivere, per la durata di uno spettacolo, il luogo in cui è cresciuto e la memoria di suo padre. Dipinge così un ritratto toccante dei suoi genitori (la madre è morta qualche anno fa) che lo hanno cresciuto con amore e rispetto per il Paese che li ha accolti. Pur mantenendo la nostalgia per la nativa Cabilia. Il piccolo Rachid si trovò presto diviso tra due culture, due paesi, la Francia e l’Algeria.

Passato coloniale

Crescendo, è tornato, con molto umorismo di secondo grado, alle domande che spesso si poneva all’epoca: quando, a scuola, gli parlavamo di “i nostri antenati i Galli”chi erano veramente per lui i figli di immigrati algerini? Cosa c’entravano con la cultura berbera in cui era immersa la sua famiglia ma che non oltrepassava le mura di casa per motivi di integrazione? Perché sua madre aveva tatuaggi all’henné sul collo e sulle mani? “proteggere dalla sfortuna” come ha detto lei? Cosa significava l’espressione? “di magazzino” impiegato tutto il tempo da un vicino del loro quartiere? Come poteva il suo bisnonno paterno essere stato un poilu dai 14 ai 18 anni e suo nonno un soldato della Seconda Guerra Mondiale?

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