Pubblicato il 6 dicembre 2024 alle 07:54. / Modificato il 6 dicembre 2024 alle 15:06
2 minuti lettura
Nel vasto ed eterogeneo programma del festival Face T, che si svolge da mercoledì e fino a questa domenica tra il Vélodrome e la Grotta 12, a Ginevra, scegliamo il sabato sera. Per quello? Perché permette di scoprire l’ampiezza di un evento che si autodefinisce “festival di musica in cerca”. Il che non significa “musica da mal di testa” – ecco perché, in due esempi.
Shaban Zeneli, innanzitutto. Questo cantante proviene dalla comunità Çam, una minoranza musulmana il cui territorio storicamente si estendeva su parte dell’antico Impero, a cavallo tra l’attuale Albania meridionale e la Grecia settentrionale. Una regione ferita: la Çamëria (“Tchamerie”, in francese) è ancora oggi al centro di una disputa nata nel secondo dopoguerra. Atene accusa poi la regione di aver collaborato massicciamente con gli occupanti italiani, poi tedeschi; i Tchames confutano, adducendo atti isolati; un buon numero di loro saranno spinti in esilio dai combattenti della resistenza greca. Un passato pesante e un presente quasi altrettanto pesante (ricorderemo che la regione è attraversata dall’Acheronte, questo fiume di cui gli antichi greci fecero una delle porte dell’Inferno), che Shaban Zeneli trascende attraverso un’arte di ‘incredibile bellezza: circondato da altri sei cantanti (Avdul Lizaj, Muharrem Ramaj, Rinor Hazizaj, Ziso Musha, Ylli Lizaj e Kujtim Xhakollari), passa attraverso i canoni della polifonia albanese, un intreccio melodico allo stesso tempo contemplativo e roccioso (pensiamo in particolare qui a queste sillabe quasi singhiozzate che solleticano regolarmente le note tenute). Abbiamo parlato di un mondo diviso: tuttavia abbiamo visto da qui qualcosa di uno stupefacente sincretismo islamico-ellenico.
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