DayFR Italian

A Lens, guarda il Louvre attraverso gli occhi di Roméo Mivekannin

-
>

“La zattera della Medusa” (2024) da Géricault, nella mostra di Roméo Mivekannin, “L’Envers du temps”, al Padiglione di vetro del Louvre-Lens. 2024/PICTURE-ART/LOUVRE-LENTE

Alla fine della Galleria Temps del Louvre-Lens si trova il Padiglione di Vetro. Nella Galleria il passato si dipana, in una forma solenne, enciclopedica e alla lunga un po’ noiosa, nonostante la presenza di alcuni personaggi viventi straordinari: Simone Fattal, Zanele Muholi e Kent Monkman. Nel Padiglione, il presente guarda a questo bellissimo passato attraverso gli occhi di Roméo Mivekannin.

L’artista beninese, a lungo residente in Francia, fa della storia dell’arte occidentale la sua materia prima. Prende opere famose e le interpreta secondo il suo metodo. Lavora su tessuti riciclati che cuce insieme. Su queste superfici fluttuanti ridipinse le tele sequestrate. A volte ne ingrandisce il formato e li modifica visibilmente. Da un lato predilige gli effetti del nero, del bianco e del grigio, anche se d’ora in poi introduce talvolta esplosioni di colore. Invece, ai volti originali, femminili o maschili, giovani o vecchi, sostituisce il proprio, quello di un uomo nato in Costa d’Avorio nel 1986.

La maggior parte dei dipinti qui raccolti, il più antico dei quali risale al 2020, sono riproposizioni di capolavori conservati al Louvre: doppio ritratto a figura intera di Rembrandt; Deianira rapita dal centauro Nessodi renna; La Zattera della Medusadi Géricault; Donne di Algeri nel loro appartamentodi Delacroix. Vengono ponderate queste scelte: il Géricault si riferisce alla storia della colonizzazione dell’Africa, il Delacroix all’orientalismo, i Rembrandt al commercio triangolare che fecero la fortuna di Amsterdam e il Reni richiama alla mente altri rapimenti e stupri, non mitologici ma reali.

Lezioni di analisi storica

Allo stesso modo, quando Mivekannin riprende il ritratto di donna dipinto nel 1800 da Marie-Guillemine Benoist, ricorda, come sappiamo oggi, che il pittore aveva preso come modello uno schiavo liberato della Guadalupa. Ancora più diretti sono i dipinti che catturano immagini scattate al momento della conquista del Dahomey (1890-1894) da parte della Francia: un gruppo di Amazzoni reali e un altro di parenti del re sconfitto Béhanzin, brutalmente fotografati come curiosità esotiche. Questi dipinti sono quindi allo stesso tempo lezioni di analisi storica delle opere antiche che riproducono e atti di accusa.

Questa parte dell’opera dell’artista, che gli valse un pronto riconoscimento, è ormai nota. Finora quella rivelata nella stanza buia al centro del Padiglione lo era molto meno. Lì ci sono due alte sculture in ceramica, contenitori irti di punte, costruiti a memoria dopo cerimonie viste nei conventi voodoo del Benin.

Ti resta il 16,52% di questo articolo da leggere. Il resto è riservato agli abbonati.

Related News :