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Al Museo della , viaggio a Ravélie attorno al “Bolero”, opera cult fin dalla sua creazione

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Maurizio Ravel, nel 1910. BIBLIOTECA NAZIONALE DI FRANCIA

Centosessantanove ripetizioni di un ostinato ritmico, due lunghe melodie ripetute 18 volte, un immenso crescendo a stadi, la cui esplosione modulante (dal do al mi maggiore), seguita da fragorosi ruggiti di ottoni, precede la brutale caduta nel serio . “Niente , nessuna composizione: solo un effetto orchestrale”scrive Ravel a proposito del Bolero in una lettera datata 2 settembre 1828 alla sua amica Georgette Marnold. Una formula concisa per designare l’opera di musica classica più eseguita al mondo, la cui udienza full immersion apre la mostra “Ravel Boléro” che si tiene al Museo della Musica, a Parigi, dal 3 dicembre 2024 al 15 giugno 2025, in occasione dei 150e compleanno di Maurice Ravel, nato il 7 marzo 1875 a Ciboure (Pirenei Atlantici).

Con questo tuffo nella materia musicale inizia il viaggio immaginato dal musicologo e curatore della mostra, Pierre Korzilius. Su un grande schermo, disposto a spirale attorno al percussionista centrale, l’Orchestre de Paris e il suo direttore musicale, Klaus Mäkelä, filmato da Camera Lucida nel 2023, vengono identificati attraverso le luci quando suonano: rosse per la melodia, blu per il ritmo, giallo per ostinato. Carico dell’energia incontenibile della “macchina” Ravélie, il visitatore potrà quindi avventurarsi nei due-otto scomparti di un viaggio ravélie che esplora sia l’intimità materiale del compositore sia i meandri del suo pensiero.

pensò Dandy

Onnipresente, naturalmente, è la casa di Montfort-l’Amaury (Yvelines), Le Belvédère, dove il compositore compose interamente l’opera “Balletto di carattere spagnolo” sponsorizzato dalla ballerina e mecenate russa Ida Rubinstein (1885-1960), creato all’Opera di Parigi il 22 novembre 1928. Le immagini di stanze, porte e corridoi a grandezza naturale fungono sia da ambientazione che da linea di fuga, dando l’impressione che il musicista potesse apparire da un momento all’altro, come al ritorno dalla trionfante tournée americana del 1828, come testimonia il bagagliaio ancora semiaperto di una fila di gilet le cui dimensioni rispecchiano la fragile corporatura del compositore (1,61 metri e 48 chili), che gli valse l’esenzione dal servizio militare per ” debolezza ” poi faticosamente incorporato nell’esercito nel 1915, dal quale venne congedato due anni dopo.

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Il baule della cabina di Maurice Ravel. GIULIA TOUPANCE

Oggetti per manicure allineati chirurgicamente, puzzle in legno, bambole meccaniche Kobe, carillon, Ravel colleziona oggetti eterogenei, alcuni preziosi, altri no. Presunto dandy, assicura come orchestratore l’eleganza del suo aspetto così come la scelta e l’accostamento dei colori strumentali. Tra i pezzi forti della mostra, il manoscritto autografo del 1928, schizzi dell’orchestrazione Boleroil cui tratto di matita rafforza la precisione millimetrica (ritroveremo questa attenzione ai dettagli nei suoi disegni) e la scrivania in legno e pelle del musicista, con il suo leggio, i suoi oggetti gotici con connotazioni religiose, il suo posacenere (nelle foto, quando Ravel non è al pianoforte fuma), senza dimenticare il poggiapiedi di cui ha disegnato lui stesso la pelle a quadretti bianchi e neri.

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