Registrato come sempre in modo faticoso, con un’orchestra sinfonica semitrascurata, il disco fu il suo più grande successo commerciale. Lo riscopriamo vent’anni dopo la sua uscita in una bellissima ristampa in vinile.
Di Laurent Rigoulet
Pubblicato il 24 novembre 2024 alle 16:00
TTutto è sempre arrivato al limite e Christophe Miossec è senza dubbio il primo a stupirsi che il punteggio sia così rotondo. Alla vigilia di Natale compirà 60 anni e festeggerà, nell’autunno del 2024, il ventesimo anniversario di un album che ha coraggiosamente intitolato 1964, proclamando al mondo che era quello che non avrebbe mai pensato di diventare: un cantante di 40 anni. La ristampa di questo disco, che è diventato fino ad oggi il suo più grande successo (grazie in particolare al brano Brest), è sontuoso.
In vinile accuratamente inciso, formato difficilmente in circolazione nel 2004, è un doppio album con copertina full frame in bianco e nero, l’elegante ritratto sfumato del fotografo new wave Richard Dumas, compagno di Rennes. Su uno sfondo di carta da parati grigia, nella camera 304 dell’hotel Vauban (come per Bere dieci anni prima), a Brest, quello che canta “Restare in vita/È solo un music-hall/Uno spettacolo costoso” sembra giovane, quasi da ragazzo, con lineamenti levigati, occhi socchiusi, un’aria dolcemente orientale, un po’ furbo.
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Il folto booklet interno offre altri cliché che stemperano l’innocenza e la malizia di facciata e ci fanno intuire i difetti, le ferite e gli sbalzi d’umore che hanno portato alla difficile registrazione (come sempre) di questo quinto album. E inoltre, la cosa più importante della ristampa (oltre al bellissimo restauro dei nastri), è un secondo disco bonus su cui appare una versione molto orchestrale di 1964, uno slancio sinfonico, un attacco di febbre lirica, una strana ambizione in parte abbandonata strada facendo, riposta nei cassetti. Per ricominciare tutto da capo.
Tra due età, tra due vite, 1964 è uno dei grandi successi di Miossec, ma non è impossibile che l’album sia ancora tutto da scoprire. All’inizio degli anni 2000, il cantante di Brest percorse la campagna francese finché non ebbe sete. È stato alimentato da un successo confortevole, ma i primi fan a volte erano diventati distaccati, per non dire disinteressati. I concerti pasticciati finivano per stancare, come le pose sconcertanti di un combattente senza fiato (e senza voce) e i dischi che cercavano di reinventarsi con tutti i mezzi ma non inventavano più molto. Quando è il momento di tornare in studio, il cantante di Recupero non era minimamente stanco di se stesso. Lo leggiamo in questi giorni sulle colonne di parigino : “Volevo morderlo, ero vendicativo. Ho pubblicato dischi che hanno funzionato ma che mi hanno deluso. Per lo più ero deluso da me stesso. »
Pianoforte e chitarre elettriche in tensione
L’idea di registrare in modalità sinfonica non è sua. Nasce dalla richiesta dell’Orchestra Lirica di Avignone di coprire i suoi vecchi brani e di farne uno spettacolo. Dopo dieci anni di carriera, questo tipo di iniziative migliora l’ordinario, ma l’artista vendicativo e frustrato pretende di più. Dato che gli offriamo gli archi, lui ci fornisce le canzoni. E trova anche una nuova prospettiva di vita con direttori d’orchestra tagliati per le cadenze improvvise della sua poesia. Joseph Racaille, ex complice di Hector Zazou, Dick Annegarn e Bashung. Jean-Louis Piérot, la parte maschile dei Valentin, che accompagnava il cantante di vertigini d’amore per la composizione del suo capolavoro, Fantasia militare. I due musicisti non sono famosi per camminare dritti e creano un’ambientazione barocca per i testi taglienti e il canto atonale di Miossec.
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In questa grande svolta emergono momenti forti e singolari, la versione originale di Me ne sto andando, in particolare, che scopriamo oggi, un divertente gioco a nascondino tra il cantante e la grande orchestra, dove tutto si gioca in chiaroscuro, tra mare e grande tempesta (“Parto per ricominciare tutto da capo/Parto per non fermarmi mai”). Miossec lo ha tagliato per tornare ad una versione più cruda e ridotta all’osso, piano e chitarre elettriche in tensione. Canzone di rottura, rimorso e disprezzo per se stessi che apre l’album e mette il disco sulla strada giusta. Tempo perduto, amici scomparsi, amori spezzati, romanticismo oscuro: “Non è per mancanza di gentilezza / Solo per l’usura delle nuvole e delle tue carezze […] Tuono, tuono, tuono da Brest/ Anche la terra si capovolge. »
Non sono presenti brani inediti per la commemorazione 1964. Miossec raramente scriveva più del necessario per completare l’esercizio. Di Mascelle rotte ha Rimani vivo, esporre la scrittura non è un lavoro facile. Miossec tratteggia con parole misurate e potenti il male (il maschio?) della quarantena, la fuga a capofitto, l’attrazione del disastro e il miracolo della sopravvivenza. E quando Miossec si mostra ispirato, lo sono anche i critici. Telerama parla di a “mantello pieno di speranze”. Philippe Barbot, inviato speciale dal Grande West, rende omaggio al miglior album da allora Bere (“Intriso questa volta di malumore romantico più che di lamentela alcolica”) e si diletta nell’ambientare, fin dai primi versi, la pittoresca scena delle peregrinazioni del cantante: “Questo venerdì, 13 febbraio, sul traghetto che collega Le Conquet a Ouessant, sono saliti a bordo un carro funebre, un cane a tre zampe e Christophe Miossec. Il primo viene portato in corteo verso il piccolo cimitero dell’isola, il secondo zoppica insieme al corteo e il terzo si congratula con se stesso di non essere superstizioso. »
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