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una fantastica evocazione del decennio nero algerino nel cinema

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Immagine tratta dal film di Dania Reymond-Boughenou, “Les Tempêtes”. I JOKER

L’OPINIONE DEL “MONDO” – DA VEDERE

Risuona una promessa Le Tempesteprimo lungometraggio della franco-algerina Dania Reymond-Boughenou, nata ad Algeri nel 1982, formata al Fresnoy – Studio Nazionale delle Contemporanee, a Tourcoing (Nord). Un film forse traballante, ma indubbiamente abitato, soprattutto partecipando a una certa tendenza attuale delle storie del Maghreb a traboccare l’indicibile (traumi attuali o orrori del passato) sul versante della metafora. COSÌ Le Tempeste si concede un’incursione nel fantastico per risvegliare i fantasmi del decennio oscuro algerino.

Tuttavia non verrà mai pronunciata la parola “Algeria”, e nemmeno il nome di una città che potremmo comunque associare alla capitale, ed è da questa imprecisione che parte il film, evitando ogni riferimento (è stato girato altrove, in Marocco). con un cast algerino). Nacer (Khaled Benaissa), giornalista di un quotidiano nazionale, indaga su uno strano fenomeno, ovvero tempeste di polvere gialla che colpiscono le campagne del sud del Paese. Quando torna in città, colleghi e genitori avvertono in lui una sorta di silenzio sospetto.

Questo perché la prima indagine ne nascondeva un’altra: la caccia segreta a un soldato pentito, ex ribelle della guerra civile, responsabile della morte della moglie, una studentessa uccisa da un proiettile alla testa. Ma quando la tempesta raggiunge la città, Fajar (Camélia Jordana) riappare, ambientandosi a casa, come se tornasse da un lungo viaggio. Non è la sola: sono emersi diversi casi di persone scomparse tornate in vita.

Le Tempeste si basa su un’idea semplice e bella: le impennate del cambiamento climatico corrispondono al graduale ritorno di una repressione collettiva, di una memoria storica impossibile da superare. Le colonne di polvere non solo sollevano le ceneri del passato, ma insabbiano un presente pigro che sembra incapace di andare avanti. Se il tutto presenta qualche fragilità, è soprattutto nel campo della scrittura, attraverso il ricorso alla forma dell’inchiesta giornalistica, che funge da pretesto troppo evidente per altro, e distilla goffamente la sua quota di indizi e rivelazioni tardive, senza fare grandi misteri su nulla.

Un’atmosfera non regolamentata

Molto più interessante è la tentazione del film di aprire spazi di contemplazione e di malinconia, di applicare un filtro crepuscolare alle cose quotidiane. Il film si apre così con immagini enigmatiche di un mare dai riflessi rossi, profondi e inquietanti. Le immagini della città stessa sono scattate tra cani e lupi, in chiaroscuri indistinguibili, sotto una pioggia battente o attraverso meandri che conducono, ad esempio, a una discoteca selvaggia.

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