Il regista e attore Igor Mendjisky osa l’impossibile montando il Trilogia newyorkese, dello scrittore americano scomparso quest’anno. Scommessa vincente.
Una delle armi artistiche di Paul Auster risiede nella creazione di labirinti; suo Trilogia newyorkese l’opera che lo ha reso celebre, ne è senza dubbio la migliore dimostrazione. Inutile dire che adattare a teatro questa gigantesca scacchiera, questo thriller vero-falso minato, deve essere stata una vera impresa e non possiamo che congratularci con Igor Mendjisky, l’ispirato architetto di questa missione impossibile. Lo spettatore aveva quindi motivo di preoccuparsi, ma verrà rassicurato fin dai primi minuti.
Innanzitutto bisogna inchinarsi alla prima ed ottima idea del regista, quella di aver sostituito la voce narrante con un conduttore radiofonico (interpretato molto bene da Igor Mendjisky) di un programma intitolato “Storie non conformi”. Questo presentatore-cantante interpreterà il ruolo di Virgilio guidando lo spettatore nella foresta oscura e tentacolare di New York.
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La seconda scoperta è quella di aver impersonificato Max Work, il detective della fantasia di Daniel Quinn – che scrive sotto pseudonimo – popolari romanzi polizieschi. Tutto inizia con lo squillo del telefono. Un certo Peter Stillman, che afferma di essere stato minacciato di morte dal proprio padre, chiama Quinn, che confonde con un certo Paul Auster. Basandosi su questo errore, l’opera prenderà una serie di colpi di scena, portando lo spettatore in un labirinto dove la logica si disintegra per meglio mistificarli. Le tre storie (Città di vetro, Restituito et IL Stanza nascosta) si incastrano come bambole russe.
In un ambiente mobile che profuma di New York degli anni ’50 e ’60 – (a volte bastano un vecchio telefono, qualche sedia, una panca, uno studio di registrazione radiofonico per ricreare un’atmosfera), luci soffuse, un fondale scenico che rappresenta edifici illuminati di notte – sì, un arredo sostenuto da una scenografia finemente ideata da Anne-Sophie Grac. Ci lasciamo allora colpire da queste tre favole della buonanotte in cui i personaggi sentono sfumare la propria identità e il mondo reale dissolversi, come in Alice nel paese delle meraviglie. C’è qualcosa di cinematografico qui.
Nella strana seconda parte (sempre un romanzo poliziesco), i personaggi assumono nomi di colori. COSÌ ” Il bianco vorrebbe che Blu seguisse qualcuno chiamato Nero “. Per quello ? White sospetta che Black sia andato a letto con sua moglie? Con Auster tutto è molto più complicato del semplice adulterio. E poi ci sono le attrici Ophélia Kolb e Rafaela Jirkovsky e gli attori Thibault Perrenoud, Lahcen Razzougui, Gabriel Dufay, Félicien Juttner e Pascal Greggory, straordinariamente inquietanti, nei ruoli di Stillman padre e figlio e di un montatore.
La ragnatela narrativa dispiegata dalla trilogia avvolge lo spettatore in modo tale che la storia sembra agire come una droga leggera, ma davvero avvincente. A ciò si aggiungono i titoli eseguiti (compresi Fai una passeggiata nel lato selvaggio) di Rafaela Jirkovsky, dalla voce accattivante. È l’impresa, o meglio il rasoio di Ockham di Igor Mendjisky, ad aver appianato la trama di Paul Auster, che potrebbe, tra umorismo e inquietudine, così sintetizzarsi: ” Chi è chi quando tutti sono qualcun altro ? » Risposta al Théâtre des Abbesses.
« Trilogia newyorkese », al Théâtre des Abbesses (Parigi 18e), fino al 30 novembre. Come. : 01 43 74 22 77. www.theatredelaville-paris.com
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