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Nel Queens, la tipografia del “New York Times”, un mostro di acciaio e carta

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Tom de Peyret fin da piccolo finì nei guai. Suo padre, che gli regalò la sua prima macchina fotografica all’età di 7 anni, era correttore di bozze nella stampa scritta. Ha colto l’occasione per trascinare le sue scarpe da ginnastica in diverse tipografie di giornali parigini, tra cui quella di Mondocirca vent’anni fa. Ne ha tenuti alcuni, ha detto, “una nostalgia romantica”. Così, quando si è presentata l’occasione di addentrarsi nelle viscere dei torchi del New York Timesnel settembre 2018, ovviamente ha colto al volo l’occasione. In quel periodo era impegnato in un servizio di moda a Manhattan, ed è stato con il cuore che batteva forte che il fotografo 38enne è andato a scoprire “una città nella città”, a College Point, nel Queens centrale.

I taxi non conoscono la strada. Proprio dall’altra parte della strada c’è la pista dell’aeroporto LaGuardia. Poco più in là, un centro di addestramento marittimo, e gli intrecci di superstrade che portano alla Grande Mela, ma anche i campi da tennis di Flushing Meadows, la sagoma dei progetti immobiliari che hanno fatto la fortuna del padre di Donald Trump… E , in mezzo dell’East River, Rikers Island, il famoso centro penitenziario che ha visto passare personaggi potenti e diverse celebrità, come Dominique Strauss-Kahn, Christophe Rocancourt e Harvey Weinstein, tra gli altri.

La tipografia del quotidiano più famoso del mondo è circondata da luoghi di potere inaccessibili, “un simbolo forte per un luogo di produzione di informazioni”sottolinea Tom de Peyret, che ne ha scritto un libro, 1New York Times Plaza, Queens, New York11356 (Inseguimento delle edizioni). Naturalmente si parla di bobine di carta che si muovono a tutta velocità su rotaie e numerosi piani per produrre 80.000 giornali l’ora. Ma anche inchiostro e olio lubrificante, acciaio e mattoni.

Indipendenza garantita

Charlie Chaplin avrebbe potuto facilmente trasformare i locali in un set cinematografico. “È una fabbrica gigantesca, una sorta di caos ordinato che però vede il suo flusso rallentare nel corso degli anniriferisce il fotografo. Tanto da lasciare perplessi, perché la fine dell’oggetto stampato e delle professioni che gli ruotano sembra inevitabile, a favore del digitale. » Questo è oggi il successo del quotidiano americano: grazie a 11 milioni di abbonati online – un’audience balzata all’indomani della prima elezione di Donald Trump, nel 2016 – la versione cartacea non dipende più né dai risultati delle trasmissioni né dalla pubblicità, e vede così il suo successo indipendenza garantita.

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