Personaggio pittoresco, noto per le sue vistose esibizioni teatrali, urlatore certificato e musicista dilettante per l’eternità, autore di una manciata di successi, tra cui Bambina et Manu ChaoDidier Wampas, 62 anni, accetta finalmente di sedersi al tavolo. In Punk operaioscritto con la complicità del giornalista Christian Eudeline, rivela le sue influenze e il suo lavoro, nonché la filosofia minimalista che ne è alla base.
“È la storia di un ragazzo rock che si è trovato sotto i riflettori e ha dovuto improvvisare”riassume Christian Eudeline nella prefazione. “La sua carriera è stata costruita così, senza un piano prestabilito e senza voglia di conquista (…) Didier è oggi l’ultimo membro originario, e in un certo senso il custode del tempio, l’unico padrone a bordo (…) E adesso ha quarant’anni di buon e leale servizio, una decina di album e quasi mille concerti.”
In quelle che dobbiamo chiamare le sue memorie, Didier Wampas, nato in un “famiglia lavoratrice comunista di base”parla di contanti. L’infanzia solitaria che arriva a scaldare nell’adolescenza il gruppo di amici punk. I primi concerti con Higelin, Bowie, deludente al Pavillon de Paris nel maggio 1978, e la rivelazione nel 1981 con i Cramps al Bobino,”lo shock più grande della mia vita.” Senza contare i Ramones,”il massimo grande band rock’n’roll di tutti i tempi” e Bijou, autore con OK Carole “per il miglior album rock francese“.
Nella vita civile ci fu prima il lavoro in fabbrica per 18 mesi, poi il lavoro di tecnico elettrotecnico che il padre gli trovò alla RATP, dove rimase per trent’anni.perché era facile”. Ha mantenuto questo lavoro fino alla fine, parallelamente al suo percorso musicale di eroe punk. Ma “Ho sempre cercato di fare il meno possibile.”riconosce, una filosofia del minimo sforzo assunta per chi non lo fa “non sapeva nulla di elettricità” e ancora non ne sa nulla, secondo lui.
Questo modo di vedere le cose vale anche per la musica. Didier è diventato cantante dei Wampas per impostazione predefinita: “Dato che non sapevo suonare nulla, mi era rimasto solo il microfono.” Non prepara mai i suoi testi. Di solito entra in studio a mani vuote e canta qualunque cosa gli venga in mente. Ma attenzione, non è questione di pigrizia. “Mi piace davvero aspettare fino all’ultimo momento (…) Mi sento davvero come se stessi mentendo alla gente quando riscrivo i miei testi. È quasi sempre la prima bozza, non mi piace ritoccare, rielaborare.”
Quanto alla chitarra, con la quale compone dopo il suicidio di Marc Police, autore della musica dei primi tre album (dal 1986 al 1990), non sa più suonarla. Ancora una volta, per scelta. “Sono passati trent’anni e suono ancora con due dita (…) Non voglio imparare a suonare meglio. (…) Quando si tratta di comporre, non è male non avere tecnica.” Poi “una canzone, se è registrata troppo bene, non ne vale la pena, deve essere vera, deve essere sporca”.
Dopo la morte di Marc Police, “Volevo fare lo spettacolo”confida della scena, dove dà il meglio di sé, osando e dando il massimo. “Quando c’era Marc c’era unità, non avevo né il bisogno né la voglia di mettermi in gioco”.. Dopo la sua morte”dovevamo reagire” (…) Mi sono sentito obbligato a comportarmi da stupido.” Con la follia comunicativa che conosciamo.
Alle Victoires de la Musique del 2004, con un boa rosa al collo, corse giù per le scale e saltò sul palco, urlando “I Wampa ti amano, ai Wampa non piacciono le altre persone, non gli piace Kyo e non gli piace la varietà schifosa!“- un grande momento rock’n’roll.
Tuttavia, non dirgli che fa rock comico. Si difende strenuamente. “Rock divertente, non mi è mai piaciuto. Non mi prendo sul serio, ma non è una commedia rock. L’obiettivo forse è far ridere, ma è più nella tradizione di Trenet”analizza. “Con i Wampas volevo fare quello che i Cramps avevano ottenuto con il rock americano. Volevamo fare yéyé punk.
Nella sua autobiografia ritroviamo tutta la piccola scena cosiddetta “alternativa” dell’epoca –Black Berrier, Washington Dead Cats, Butcher Boys, di cui parla senza ironia – attorno al quale gravitavano le band punk parigine, ma anche gli skin, che non lo erano “nessun grande fascista ancora”. La sua filosofia punk non è sinonimo di impegno politico, e i Wampa non sono mai stati di estrema sinistra, tiene a sottolineare.
Dato che i suoi testi furiosamente demenziali sono spesso, più o meno deliberatamente, ermetici, la qualità primaria di questo libro è sentirlo decifrare e ricontestualizzare le sue canzoni una per una sulle pagine in una sorta di discografia commentata. Come si può immaginare, Didier Wampas nutre i suoi testi soprattutto con cose viste o vissute, “momenti di vita“. Quindi, la frase lunare “punk che vendono frittelle contro l’aborto” (dalla canzone Patrizio) descrive una scena a cui ha assistito realmente, durante la convention democratica del 2004 a Boston (Stati Uniti).
Apprendiamo, tra mille altre cose, che ha scritto Le api in omaggio a Jonathan Richman dei Modern Lovers, quella canzone Ti ho dato la mia vita era “uno scherzo” in cui fingeva di fare Louise Attaque o questo il titolo dell’album I Wampa ti adorano era un cenno ai Beach Boys, di cui è un fan, e al loro album I Beach Boys ti adorano. Ma anche quella è la canzone Manu Chaoun successo radiofonico che “tutto è cambiato” per il gruppo, non è piaciuto all’interessato. Manu può essere una bella faccia, “I Wampa sono la prova che Dio esiste.”
Didier Wampas “Worker Punk” (Harper Collins, 19,90 euro) è uscito il 13 novembre 2024
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