Sulla punta dell’Île de la Cité, all’ombra di Notre-Dame, è annidato il capolavoro di Georges-Henri Pingusson (1894-1978), il Memoriale ai martiri francesi della deportazione. Una creazione discreta come il suo creatore e che ben simboleggia il suo posto nell’architettura moderna francese del secolo scorso: capitale, ma poco conosciuta. Questo progetto dimostra anche un metodo personale, che mette in discussione il programma a monte, lo adatta e lo trasforma, per accedere a quello che Pingusson chiama il “trascendenza poetica del concreto”.
Primi passi in architettura
Più di trent’anni prima di questo risultato, la sua carriera iniziò su lidi più soleggiati e in un registro meno solenne. Infatti, il giovane Pingusson, associato all’architetto Paul Furiet (1898-1932), costruì negli anni ’20 una serie di ville in stile regionalista o Art Déco sulla Costa Azzurra e nei Paesi Baschi. Egli ebbe cura di nascondere questa produzione giovanile quando, all’inizio del decennio successivo, aderì risolutamente al Movimento Moderno.
Prospettiva della Chiesa della Natività della Vergine, Fleury, 1956-1963, archivio di architettura contemporanea/Città dell’Architettura e del Patrimonio.
La costruzione dell’hotel Latitude 43 (1931-1932) a Saint-Tropez segnò poi la fragorosa irruzione del professionista sulla scena architettonica francese. Prima di affrontare questo progetto, l’architetto si era già fatto un nome con il Théâtre des Menus-Plaisirs (1930), rue Pierre-Fontaine a Parigi, dove, sulla facciata cieca forata da oblò, la cabina del proiezionista sporgeva come la prua di una nave.
Un nuovo stile di rivestimento
A Saint-Tropez il riferimento al transatlantico appare meno superficiale. In questo hotel concepito come rifugio per artisti e intellettuali, Pingusson opera una rigorosa zonizzazione tra le diverse funzioni (residenza, spazi pubblici, servizi), tratto che i transatlantici condividono con le dottrine moderne. In modo più originale, ha trasposto nel suo progetto il principio del passaggio per offrire agli ambienti una doppia esposizione. La loggia sul lato sud incontra quella nord con vista panoramica, resa possibile dall’inserimento a metà livello dei passaggi di servizio. Nel dopoguerra, l’architetto utilizzò lo stesso dispositivo in una scolaresca di Boulogne-Billancourt, donando allo stile Paquebot un’eredità inaspettata.
Latitude 43, Saint-Tropez, primi anni ’30 ©Philippe Conti.
Come sottolinea lo storico Simon Texier, il Latitude 43 “non incarnava né corrispondeva ad alcuna tendenza specifica dell’architettura contemporanea”tanto lontano dal purismo di Le Corbusier quanto dal razionalismo strutturale di Auguste Perret. Lo stesso Pingusson era consapevole di questa singolare posizione, come la espresse nelle sue Memorie: “Non si può associare al mio nome una forma di dottrina angusta, né un sistema, non ero né un funzionalista militante né un espressionista che riduceva la finalità dell’architettura alla sola plastica, perché vedevo nella forma l’esito di una chimica complessa dove tutto i componenti avevano portato la loro distillazione, il loro profumo.
Il manifesto dell’UAM
Dopo il colpo di stato di Saint-Tropez, Pingusson fece molto affidamento sull’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 per trasformare il saggio. Soprattutto in collaborazione con Mallet-Stevens, presenta progetti ambiziosi nell’ambito di concorsi indetti da enti pubblici: l’aeroporto di Le Bourget, uno stadio olimpico, la Maison de la radio e persino musei d’arte moderna. Tante proposte rifiutate. E l’architetto si accontentò di costruire, con Frantz-Philippe Jourdain (1876-1956) e André Louis (1903-1982), il padiglione dell’Unione degli Artisti Moderni (UAM, 1929), la cui facciata in vetro liscio correva lungo la Senna e è finita sulla prua di una nave… In un evento in cui trionfa una sorta di classicismo moderno, incarnato dai palazzi del Trocadéro e di Tokyo, la vetrina dell’UAM si afferma come una delle proposte più radicali e manifeste di uno stile internazionale in Francia.
Torre di essiccazione, centro di intervento e salvataggio dei vigili del fuoco, Metz, 1950-1965 ©DR.
Dopo la seconda guerra mondiale, la ricostruzione non riuscì molto meglio a Pingusson. Si unì alla Mosella nel 1947. Purtroppo, nonostante l’attività sostenuta, i suoi progetti urbani rimasero sotto forma di modelli e videro la luce solo edifici isolati, qui una scuola, là una caserma dei pompieri. A Briey-en-Forêt, Pingusson invita Le Corbusier a sviluppare una città modello. Ma la reputazione di quest’ultimo contribuisce a suscitare un’opposizione, soprattutto politica, che porterà al rifiuto del piano di massa. “Il fallimento nella Mosella è quello della pianificazione urbana funzionalista”dice Simon Texier. Per ironia della sorte, le poche costruzioni di Pingusson a Briey sono eclissate dalla monumentale Unité d’habitation di Le Corbusier. Come se fosse condannato a restare nell’ombra del suo illustre contemporaneo.
Chiese e un memoriale
Inaspettatamente, il contributo più significativo di Pingusson alla ricostruzione è legato all’architettura religiosa. Alla fine del conflitto, nella Mosella si dovette ricostruire una quarantina di chiese. E attraverso i progetti affidatigli, l’architetto riprende il pensiero sviluppato tra le due guerre, in particolare attorno alla pianta centrale. La chiesa Saint-Maximin (1955-1966) a Boust riprende così i tratti principali di un progetto interrotto per la chiesa Jesus-Worker di Arcueil.
Veduta interna della chiesa di Saint-Maximin, Boust, 1955-1966 ©Louis Panzani.
L’audacia delle sue proposte appare più evidente nella chiesa della Nativité-de-la-Vierge (1956-1963) a Fleury dove, ancora una volta, ricicla uno schizzo degli anni ’30. “Non mi piace la luce del giorno che arriva dall’alto attraverso la navata”ha scritto nelle sue note preliminari. Colloca quindi in modo unico le aperture a livello del suolo nella navata rialzata, che sembra esserne immersa “una luce che viene dal nulla”come osserva Texier.
Il Memoriale ai Martiri della Deportazione, Parigi 4° arrondissement, 1962 ©ONACVG.
In questi stessi anni Pingusson lavora alla sua grande opera, il Memoriale dei martiri della deportazione (1953-1962), dove il suo approccio originale finisce per trionfare su tutte le commissioni. Rifiutando le facilitazioni di un’espressione scultorea, egli attribuisce alla sola architettura il potere di significare o, meglio, di suggerire la sofferenza patita dai deportati. Nasce così un monumento invisibile e paradossale, arcaico e radicalmente moderno allo stesso tempo, dove le ciclopiche masse di cemento racchiudono un vuoto sinonimo di assenza. Quest’opera crepuscolare incarna meglio di ogni altra sua realizzazione quella che deve essere definita un’etica dell’architetto, che veniva definita come “un creatore indipendente, innovativo e tradizionale allo stesso tempo, che apporta al patrimonio artistico del mondo architettonico un’opera a parte, originale e poetica, tradizionale, nel senso particolare che io stesso ho inteso con questo termine, il senso di mantenere la libertà creativa all’architettura con il desiderio di dedicarla alla felicità dell’uomo”.
“Georges-Henri Pingusson. Una voce singolare del Movimento Moderno (1894-1978) »
presso la chiesa dei Trinitaires, 1, rue des Trinitaires, 57000 Metz
dal 18 settembre al 17 novembre
Mostra di Georges Henri Pingusson di Simon Texier
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