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Morire di freddo è bello… | Quando Nathalie Plaat ama una volta, ama per sempre

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Nathalie Plaat racconta il suo primo amore in Morire di freddo, è bello, è lungo, è deliziosoun invito accattivante a lasciarsi trafiggere dalla tragedia della vita. E pensare diversamente alla follia. Una storia che ha l’effetto del coltello nelle patate.


Inserito alle 1:13

Aggiornato alle 8:00

Da adolescente, Nathalie Plaat non ha assistito agli spettacoli di cantanti pop, ma piuttosto a quelli di Richard Desjardins. «Dopo un suo spettacolo andai a chiedergli un autografo sul mio diario di scuola e lui rimase di sasso», ricorda colei che, di quella giovinezza, ha conservato lo sguardo frizzante e un certo rapporto con l’assoluto dell’amore. È preso in prestito anche il titolo del suo nuovo libro D’Aquinouna delle innumerevoli grandi canzoni del ragazzo di Rouyn-Noranda.

Gli adolescenti sono spesso più seri, meno spensierati, di quanto vorremmo ricordare. “E sono lucidi! Hanno poca tolleranza per l’ipocrisia”, aggiunge l’autore di Morire di freddo, è bello, è lungo, è delizioso Chi, in questa scintillante storia, ricorda la potenza incandescente del suo primo amore per un ragazzo con cui ascoltò Desjardins e accanto al quale entrò in quella che chiamiamo età adulta.

Un ragazzo gravato da gravi problemi di salute mentale che, silenziosamente, nel corso degli anni, passerà dall’altra parte del proverbiale specchio, moltiplicando le psicosi. “Per citare un’altra canzone, è un amore impossibile, che non era vivibile, ma anche un amore che non vuole morire”, dice di colui con cui è rimasta in contatto molto tempo dopo la fine della loro relazione.

L’editorialista di Dovere si chiede così, in una scrittura superbamente attenta alle mille sfumature del lutto, quale posto lasciare, nel nostro cuore, a questi amori che ci hanno trasformato e che vivono dentro di noi, anche quando appartengono irrimediabilmente a ieri.

“Ha molto a che fare con la cultura della performance in cui viviamo”, pensa lo psicologo clinico riguardo alla nostra necessità di porre quanta più distanza possibile tra il nostro presente e una vecchia relazione, anche quando ci ha profondamente plasmato.

“Usiamo molto l’espressione passata”, illustra, prima che un enorme sorriso si diffonda sul suo viso. “Il passato potrebbe non essere mai risolto!” La tragedia struttura la condizione umana: viviamo, moriamo e, nel frattempo, cerchiamo di dare un senso a tutto. »

Onore al passato

«Ma – prosegue – viviamo in un tempo in cui ci piace dire che abbiamo superato le cose, che abbiamo domato il nostro mondo interiore. Usiamo il vocabolario economico per parlare delle nostre emozioni. Dimostra una grande mancanza di umiltà di fronte alla forza dei sentimenti e dell’inconscio. Possiamo aver trovato l’amore altrove, come è il mio caso, non possiamo lasciarci divorare dal dolore, ma rimanere ossessionati da ciò che una persona rappresentava. »

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FOTO MARTIN TREMBLAY, LA STAMPA

L’autrice Nathalie Plaat

Durante il cancro al seno che sconvolse gravemente la sua vita quotidiana, ai tempi della pandemia, Nathalie Plaat ricevette messaggi da ciascuno dei suoi ex, e «fu allora che mi resi conto che avevo amato molto e che ero stata amata molto. È stato molto toccante. È come se stessimo onorando ciò che abbiamo passato”.

E aggiunge, in una sorta di gratitudine mista a tristezza: «L’unico che non mi ha scritto quando ero malata, che non ha potuto scrivermi, ho scritto un libro per lui. »

Diamante Pazzo

Questo libro è ovviamente Morire di freddo, è bello, è lungo, è delizioso. Diversi anni dopo la fine della loro relazione, anche dopo che Nathalie Plaat si era rifatta la vita con un altro uomo, questo diamante pazzo di ragazzo troppo lucido, diventato adulto suo malgrado, non aveva mai smesso di chiamarla, sorpreso e indispettito. ore improbabili, per ragioni non sempre chiare, ma sempre dipendenti da un intimo senso poetico. Al telefono poteva ordinarle, con la convinzione che la chiaroveggenza conferisce, di uscire, quasi nel cuore della notte, a contemplare le stelle e gli alberi.

Questo finché queste telefonate non cessarono e quest’uomo disperato non diede più segno di vita a nessuno. E possiamo solo immaginare il peggio. “Oso usare le parole pazzo e follia”, precisa l’autore, “e le uso come [l’intellectuel français] Michel Foucault, che diceva di avere più paura della parola malattia mentale che della parola pazzo. Amo la parola pazzesco, nel suo senso magnifico. Siamo tutti un po’ pazzi. »

Unendo il romanticismo intransigente dell’autentico scrittore con la sensibilità colta dello psicologo, Nathalie Plaat riflette quindi sul destino riservato ai nostri pazzi, nella speranza, forse, che non conoscano lo stesso fatale destino dei uno che una volta amava e che amerà per sempre.

“Non pretendo di conoscere la risposta, ma ci troviamo collettivamente di fronte a una consapevolezza di impotenza nei confronti dei nostri pazzi. E la mia ipotesi è che sia legata al nostro problema del dualismo. Se potessimo tutti accettare di più le nostre parti di follia, di oscurità, avremmo una visione meno divisa su questi argomenti, con i sani da una parte e i pazzi dall’altra. »

Morire di freddo, è bello, è lungo, è delizioso

Nathalie Plaat

La stampa dell’Università di Montreal

216 pagine

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