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Il Forum di Davos chiede davvero il divieto degli orti per combattere il cambiamento climatico?

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Su Telegram si afferma che il Forum di Davos sta cercando di vietare le colture locali per combattere il riscaldamento globale.

Si tratta in realtà di uno studio dell’Università del Michigan che evidenzia l’impronta di carbonio dell’agricoltura urbana rispetto a quella convenzionale.

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Il Forum di Davos vuole porre fine agli orti? Infatti, su Telegram, lo affermiamo (nuova finestra) Che cosa “Il World Economic Forum (WEF) chiede ai governi di vietare ai cittadini di coltivare il proprio cibo in casa al fine di rispettare l’agenda ‘Net Zero’ dell’organizzazione globalista non eletta.” Come promemoria, questa fondazione riunisce una volta all’anno a Davos, in Svizzera, leader aziendali, leader politici e persone facoltose.

Allo stesso tempo, pubblica rapporti, come quello sulla “Transizione Net Zero” affinché le aziende possano muoversi verso un mondo a zero emissioni di carbonio. L’edizione del 2023 (nuova finestra)una sorta di road map, mira a questo “valutare e comprendere i progressi sulla decarbonizzazione nei settori industriali ad alta intensità di emissioni” senza però proporre misure restrittive. Inoltre, questo rapporto non include alcuna dicitura sulle colture locali, e ancor meno sul loro divieto per combattere il cambiamento climatico.

Al contrario, il GEF sembra piuttosto favorire la loro attuazione, come qui nel 2023 (nuova finestra) dove fa riferimento ad uno studio americano secondo il quale “gli orti comunitari e le fattorie urbane hanno un impatto positivo sulla biodiversità, sugli ecosistemi locali e sul benessere delle persone che vi lavorano”.

Una fonte estranea al Davos

In realtà la fonte menzionata su Telegram è uno studio realizzato nel 2023 dall’Università del Michigan, negli Stati Uniti. Ma contrariamente a quanto affermato online, non ha alcun legame con il Forum di Davos e non sostiene il divieto degli orti nelle città. Pubblicato nel gennaio 2024 sulla rivista Nature Cities (nuova finestra)cerca di confrontare l’impronta di carbonio dell’agricoltura urbana e dell’agricoltura convenzionale. I suoi autori lo concludono “La frutta e la verdura coltivate nelle fattorie e negli orti urbani hanno un’impronta di carbonio che è, in media, sei volte maggiore rispetto ai prodotti coltivati ​​convenzionalmente”.

Nel dettaglio, l’impronta di carbonio degli orti e delle altre colture in città è dovuta principalmente alle infrastrutture necessarie per la loro realizzazione, secondo Benjamin Goldstein, coautore dello studio citato (nuova finestra) dall’Università del Michigan: “Queste aziende agricole in genere funzionano solo per pochi anni o dieci anni, quindi i gas serra utilizzati per produrre questi materiali non vengono utilizzati in modo efficiente. L’agricoltura convenzionale, d’altro canto, è molto efficiente ed è difficile competere con essa.” Per rimediare a questo, gli autori raccomandano in particolare “prolungare la vita delle infrastrutture” o utilizzare rifiuti urbani, come ad es “detriti di costruzione e rifiuti di demolizione”come componenti dell’agricoltura urbana.

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Dopo questa osservazione, gli autori non mettono in discussione i meriti degli orti, né ne chiedono la messa al bando in città. Non è la prima volta che questa pubblicazione è oggetto di disinformazione online, che era già stata decifrata (nuova finestra) di AFP Fattuale. Inoltre, l’esistenza stessa del Forum di Davos dà luogo a numerose fantasie, come questa voce (nuova finestra) Di “confini climatici” che sarebbe venuto dalla fondazione e avrebbe fomentato circoli di cospirazione l’anno scorso.

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Carolina QUEVRAIN

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