Il mercante d’arte parigino Olivier Waltman ha un temperamento piuttosto loquace. A metà settembre, tuttavia, è stato discreto riguardo alla sua scaramuccia chiamata “La loro voce sarà ascoltata?” “. Nel programma di questa mostra flash, nell’arco di tre giorni, una quarantina di opere di artisti, soprattutto israeliani, messe in vendita a beneficio delle famiglie degli ostaggi di Hamas. “Volevo restare sotto il radar per evitare problemi”mormora il gallerista, ustionato dopo essersi fatto strappare la mezuza appesa fuori dalla sua galleria lo scorso giugno.
Nello stesso mese venne graffiata la targa metallica del suo collega Frank Elbaz, anche lui di fede ebraica. Quest’ultimo ha poi espresso la sua preoccupazione al Comitato Professionale delle Gallerie d’Arte, di cui fa parte, auspicando una presa di posizione pubblica da parte del sindacato riguardo all’esplosione di atti antisemiti, cosa che è stata denunciata nella loro newsletter del mese di luglio. Frank Elbaz ha vissuto dolorosamente il 7 ottobre, che ha mandato in frantumi il suo rapporto di complicità con due curatori di mostre. Ordinando ai suoi amici di bilanciare la loro compassione e, per uno di loro, di rimuovere la tavoletta «Fermare il genocidio» dal suo profilo Instagram è stato subito criticato per essere sordo alla sofferenza palestinese. Da allora questi amici non sono più amici, non si parlano più, non si capiscono più. “Nei miei peggiori incubi, non pensavo che avrei vissuto una cosa del genere”si lamenta Frank Elbaz.
L’arte per l’arte, questa utopia di una bolla di comprensione reciproca, non è più un’opzione dopo la carneficina perpetrata il 7 ottobre 2023 da Hamas. che ha provocato circa 1.200 morti, ei bombardamenti lanciati come rappresaglia dallo Stato ebraico, che hanno causato più di 41.000 morti, secondo i calcoli di Hamas, trasformando Gaza in un campo di rovine. Questo settore, che si considerava una tollerante torre di Babele, ha resistito solo per pochi giorni alla follia del Medio Oriente. Dal 19 ottobre un articolo pubblicato dalla rivista Artforum accusa Israele di “genocidio” e chiede la liberazione della Palestina, senza fare riferimento alle atrocità di Hamas o chiedere il rilascio degli ostaggi. Il testo, che ha raccolto 8.000 firme, ha subito diviso il mondo dell’arte in due campi, sempre più radicalizzati, lasciando poco spazio alle voci moderate.
Un anno di scomuniche
“Di dove stai parlando?” »chiedevamo negli anni Sessanta ai politici che reclamavano una coerenza assoluta tra status sociale e convinzioni. I commissari politici di oggi ripetono la stessa domanda. Ritornati alla sola nazionalità, i creatori israeliani sono giudicati solidali con il governo di Benyamin Netanyahu, anche se la maggior parte di loro lotta politicamente, presumibilmente responsabile delle morti che si accumulano a Gaza, mentre la maggioranza si batte per uno Stato palestinese.
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