“Chiudi gli occhi”, ovvero il cinema come macchina di meditazione

“Chiudi gli occhi”, ovvero il cinema come macchina di meditazione
“Chiudi gli occhi”, ovvero il cinema come macchina di meditazione
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Pubblicato il 27 novembre 2024 alle 10:12. / Modificato il 27 novembre 2024 alle 13:41

4 minuti. lettura

“Triste-le-Roy, 1947”. Il film si apre con questa scritta e i fan di Jorge Luis Borgès sapranno subito cosa aspettarsi da questo inizio che vede un uomo arrivare nella bella casa isolata di un vecchio e ricco ebreo e accettare la missione di ritrovare sua figlia, rimasta con la madre in Shangai. Naturalmente tutto questo è pura finzione, ricondotta al regno del cinema attraverso un cenno non meno esplicito al Shangai di Josef von Sternberg (1941). E se questi riferimenti vi sembrano troppo esoterici, l’immagine (scattata in 16 mm) troppo scura e non abbastanza nitida, i piani sequenza lunghi e chiacchieroni, ci sono buone probabilità che Chiudi gli occhi potrebbe non essere il film adatto a te.

In fondo, queste sono solo le fantasticherie di un vecchio cineasta tanto cult quanto coltivato: lo spagnolo Victor Erice, 83 anni, autore finora di soli tre lungometraggi venerati dai più cinefili, La Mente Alveare (1973), Il Sud (1983) et Il sogno della luce (1992). A meno che non gli si apra una seconda carriera, come quella del portoghese Manoel de Oliveira, morto a 106 anni, potrebbe anche essere l’ultima, visti i suoi ritmi di lavoro. Tutto questo per dire che in questa storia l’età gioca un ruolo importante, così come il tempo “perso”.

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