Perché hai bisogno di conoscere la fotografa Mame-Diarra Niang?

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Fino al 5 gennaio 2025 alla Fondazione Henri Cartier-Bresson, la mostra dell’artista francese Mame-Diarra Niang invita i visitatori a scoprire un lavoro introspettivo, incentrato sui limiti della memoria e sulle rappresentazioni del corpo nero, a volte sfocate, distorte o danneggiate, in contatto con il mezzo fotografico.

IL “non ritratti” di Mame-Diarra Niang alla Fondazione Henri Cartier-Bresson

Da diverse settimane una folla di ombre colorate infesta le pareti del piano terra dell’edificio Fondazione Henri Cartier-Bresson. Come spettri, queste figure sfocate fotografate da Mame-Diarra Niang quasi si confondono con il loro fondo monocromo, al limite della pittura astratta. Se riconosciamo vagamente le teste, non c’è nulla che possa identificare i lineamenti di un volto e comprendere così un’identità. Come l’impressione di un volto dimenticato, o il vago ricordo di una sagoma anonima incrociata, a metà tra sogno e realtà.

Sono ormai trascorsi tre anni da quando l’artista francese ha iniziato questa serie di fotografie che ci siamo imbattuti sempre di più negli ultimi anni, tra fiere e mostre collettive, da Dakar a Berlino. Ne presenta un campione nella sua prima monografia in Francia – una mostra che, nelle sue parole in apertura, “parla del corpo nero e del mio corpo nero”.

Tuttavia, all’interno del Fondazione Henri Cartier-Bressonquesti corpi appaiono quasi indistinguibili, persi in mezzo a una massa di colori nebulosi, accompagnati qua e là da intime poesie… Se Mame Diarra Niang li chiama “non-ritratti”, è proprio perché queste immagini quasi illeggibili sono collocate agli antipodi del genere, la loro vaghezza illustra sia il suo bisogno di riappropriarsi del suo passato sia le sue radici africane di fronte all’ambiguità dei suoi ricordi e all’invisibilità dei corpi razzializzati.

Un viaggio intimo nei territori del suo passato

La vocazione di Mame-Diarra Niang per la fotografia le venne in mente nel 2007, quando andò in Senegal per seppellire suo padre. Questo ritorno alle origini incoraggia la giovane donna a utilizzare la macchina fotografica per immortalare il paese in cui ha trascorso parte della sua adolescenza. Vagando da sola attraverso i suoi paesaggi deserti, punteggiati solo da poche sagome e passanti di cui non riusciamo mai a distinguere i volti, l’artista realizza foto luminose dove l’architettura scalpella il cielo, dando vita a composizioni che colpiscono per la loro struttura, le loro linee e le loro forme, spesso geometriche, e il loro sapiente gioco tra vuoti e pieni.

Questi viaggi avanti e indietro in questi territori hanno plasmato la mia pratica artistica.”, ha spiegato Mame-Diarra Niang alla rivista Fisheye. Il risultato fu il suo primo libro, La Cittadella, pubblicato nel 2022 in tre volumi (Sahel grigio, Al Muro et Metropoli). Se queste immagini non fanno parte del percorso della mostra parigina, tuttavia entrano in risonanza con i suoi più recenti “non-ritratti” dal nome che l’artista ha dato loro: “non-luoghi”, per evocare gli spazi liminali e le zone spopolate che viaggiò per anni, mantenendo sempre una certa distanza da loro. Creandoli, l’artista inizia a mettere in discussione la fugace presenza del proprio corpo in questi ambienti.

Dai problemi tecnici su Google Maps alla sfocatura degli schermi

Un evento globale interromperà questo progetto sul campo. Durante la prigionia nel 2020, impossibilitata a tornare in Africa, l’artista ha iniziato a cercare su Google Maps i luoghi della Costa d’Avorio (dove ha trascorso la sua infanzia) e del Senegal che le erano familiari: la sua scuola quando era piccola, le strade e case che costeggiavano i suoi sentieri allora e che rimangono ancorate nella sua memoria oggi.

Esposta anche alla Fondazione Henri Cartier-Bresson, la serie Chiamami quando arrivicontiene screenshot di questi vagabondaggi digitali, negli angoli in cui l’artista ha rilevato bug nella piattaforma Google Street View: qui un corpo vede scomparire la sua parte inferiore, là la sagoma di una donna è distesa a terra. Come altri artisti prima di lei, come l’artista del Quebec Jon Rafmann che elenca anche migliaia di catture del sito dal 2008, Mame-Diarra Niang esplora così i difetti del sistema. A casa, tuttavia, questi insetti hanno una risonanza molto più intima con i suoi dubbi e le sue domande nel mezzo di una pandemia.

È parallelamente a questa serie molto domestica che l’artista inizia a sviluppare i suoi “non ritratti”. Per creare questa sfocatura molto particolare, pronunciata al punto da trasformare i corpi in macchie colorate, l’artista fotografa e rifotografa il suo schermo, ogni nuovo scatto sfumandone ancora di più i contorni. A poco a poco, poi, il soggetto scompare negli abissi dell’immagine… Così come il ricordo si perde negli abissi della memoria, lasciando nella nostra mente visioni indefinite che verranno spazzate via o trasformate dall’oblio e dall’incertezza.

Mame-Diarra Niang. Ricordati di dimenticare”, fino al 5 gennaio 2024 presso la Fondazione Henri Cartier-BressonParigi 3e.

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