Occhio negli occhi
C’è qualcosa di commovente nel sentire un artista abituato ai grandi palcoscenici lirici, con orchestra e coro e alle esibizioni all’aperto davanti al pubblico, supportato da un impianto audio magistrale, presentarsi al Bozar accompagnato da un semplice pianoforte in una performance rigorosamente acustica , senza microfono. Alagna affronta questo esercizio di spogliazione quasi francescana con naturalezza e semplicità. Nella forma, la disparità del programma è sorprendente. A metà strada tra Mario Lanza e Fortuna con le canzoni del compianto Pascal Sevran, Alagna fa il suo dovere e sa – probabilmente meglio di chiunque altro – come aumentare la tensione nel corso della serata.
La delicatezza
Così, questa voce che resiste agli assalti del tempo e ad un repertorio sempre più pesante, si stabilisce cautamente nello spazio, affidandosi più volentieri alla sottigliezza del musicista che all’insolenza dei suoi mezzi. voce. Fu quindi con soavi pianissimi che Alagna conquistò l’attenzione del pubblico e fu nell’eleganza delle sue arie d’opera francesi che ricevette i primi applausi.
Oltre la sofferenza, “Un oceano di musica”, da tenere
Nella seconda parte, questa volta con l’orchestra, una serie di tarantelle e canzoni popolari aggiungono emozione. La voce, che si era rifugiata in un basso ricco e colorato, comincia ad esplorare più francamente l’impero delle note alte. Il tenore spalanca le chiuse, la voce acquista potenza e l’insolenza dei mezzi finisce per strappare alla sala una meritata standing ovation.
In un unico bis, Alagna invita il pubblico a cantare e battere le mani. Discutibile, questo trucco canoro che flirta con l’istrionismo? Forse. Ma non è particolarmente spettacolare riuscire a distillare tesori di finezza musicale in un programma che mira solo a intrattenere? Questa è, appunto, la grande arte.
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