Di fronte ad una forza così impressionante, prima che un omaggio così romantico fosse soggettivo, come restare impassibili? Romanzo investigativo, tesi e romanzo d’avventura, Un uomo solo ci porta nella vita incredibilmente tortuosa, un po’ triste, molto tumultuosa e davvero straordinaria di Jean-Michel Beigbeder, morto nel 2023. Frédéric, “ lo scrittore di famiglia », dipinge un ritratto eroico di questo papà conosciuto (a tutti) e sconosciuto (ai suoi figli) per il quale nutre da tempo sentimenti ambivalenti.
L’autore non rifiuta nulla. Un uomo soloracconta la biografia di un personaggio dalla personalità molto estroversa: un uomo brillante e longevo, uomo d’affariun padre straordinario e assente, la cui vita ha – mi sembra – implicitamente influenzato l’opera letteraria del figlio più giovane: quest’ultima opera fornisce un’ulteriore certificazione poiché porta in sé le rivelazioni della quintessenza di questo patrimonio.
È un libro doloroso, che racconta episodi e momenti preziosi, per poi alternarsi a sofferenze rimaste a lungo silenziose. Si tratta di una ricostruzione colta e precisa in cui Frédéric Beigbeder riunisce con misto di orgoglio e ironia i pezzi dell’esistenza di questo illustre Ricercatore esecutivo. Come sempre, i riferimenti letterari qui contenuti sono legioni; da Dickens a Maupassant, da Plotino a Roger Martin du Gard, senza dimenticare un certo numero di scrittori contemporanei – c’è un autore contemporaneo oltre a Beigbeder che cita così tanto i suoi colleghi?
Tutto ciò richiama l’opera titanica del “ Dizionario degli amanti degli scrittori francesi viventi » pubblicato l’anno scorso -, il lettore assiste agli ultimi momenti di “JMB” quai de Tournelle, in Guéthary, e gira le pagine stupito, abbagliato dagli strati di scrittura… L’approccio filiale sferra quindi un doppio colpo: pieno di empatia e di tenerezza , ma anche netto e con la giusta misura di moderazione, usa questo titolo a doppio taglio: “ Un uomo solo », che rimbalza. L’unico uomo adesso è Beigbeder Jr. La solitudine è un virus che si trasmette senza scrupoli e ignora le generazioni.
Frédéric Beigbeder aveva già esplorato le origini della sua famiglia nelUn romanzo francesee ha raccontato parte della storia dei suoi nonni giusti che salvarono diverse famiglie ebree: lì ci sono lunghe pagine sui gioiellieri Lambert raccolte da Charles e Grace. Evocato con modestia ed emozione in alcune scene memorabili in Una barriera contro l’AtlanticoJean-Michel Beigbeder appare finalmente nella sua prima infanzia alla scuola militare di Sorèze, maltrattato dai dominicani con modi molto poco cristiani: i residenti subiscono terribili abusi.
Il figlio dello scrittore confida che il padre resterà segnato per tutta la vita da questi episodi dolorosi. E in effetti, da qualunque angolazione la si guardi, la vita di Jean-Michel Beigbeder è un’artiglieria pesante. Il figlio, che eccelle nelle considerazioni geopolitiche su questa America degli anni ’50, su “ capitalismo disumanizzato“, e sul contributo del consumismo globalista tanto amato all’epoca dal padre boomer, non solo passa di scoperta in scoperta, ma ci fornisce abbondanti informazioni sulla professione di “Head Hunter” di cui Jean-Michel era il felice importatore in Francia.
Verso la metà del romanzo, Un uomo soloprende una piega davvero epica con accenni alle ascendenze aristocratiche americane, la scoperta accademica di veri e propri passaporti falsi a nome di William Harben, il luogo degli omonimi, l’ipotesi fertile secondo cui il padre avrebbe potuto essere ingaggiato dalla CIA. E altro ancora, e non solo…
La CIA offriva borse di studio a studenti stranieri in cambio del loro successivo arruolamento. Era una scommessa sul futuro. Il giovane francese ha potuto beneficiare dell’appoggio dei servizi segreti americani in cambio della promessa di diventare “handling officer” nel corso della sua futura carriera. La sua assunzione da parte di Spencer Stuart come capo dello sviluppo europeo e poi globale per la prima società internazionale di headhunting potrebbe essere servita come copertura per attività di intelligence economica…
Su Plotino e il solipsismo – forma di ricerca del Graal o ossessione lirica e spirituale del padre – Beigbeder torna con una certa regolarità. Il solipsismo assomiglia all’albero che nasconde la foresta. Attorno ad esso sono costruiti diversi capitoli gustosi; l’ironia non manca mai. Sentiamo il bisogno dell’autore di sottolineare questo punto, di prendersi finalmente il tempo di soffermarsi su questa filosofia viziata di pessimismo, di preferire quella di Platone, di conoscere meglio questo padre lontano e di esprimere il perché, andando oltre l’indifferenza che aveva provato fino ad allora, quanto loro, questi due esseri che si impressionavano a vicenda, fuggivano l’uno dall’altro per tutta la vita.
In uno scatto finale, e con evidente ammirazione, mi sembra che Frédéric Beigbeder voglia chiudere questo rapporto stranamente elastico: non vuole forse vendicare questo padre, vendicare il futuro oblio che lo travolgerebbe se quest’opera biografica non fosse stato pubblicato, e così facendo, scava nei solchi della vita di quest’uomo piena di smentite e zone grigie. Il punto di congiunzione, il momento di unità che suggella – “per secoli e secoli” – il padre e il figlio più giovane come se fossero un ricongiungimento definitivo, mi sembra essere questa sonata 16 di Mozart di cui ascoltiamo la melodia a pagina 155.
Le note del pianoforte viaggiavano attraverso il tempo e il soggiorno con innocente limpidezza. La vita copre la sua chiarezza originaria con molti strati di sporca infelicità. Più invecchiamo, più la Sonata 16 diventa distante. La meravigliosa ingenuità dell’infanzia sfuma nel silenzio, come un tesoro sepolto sotto terra. Il fatto che questo vecchio padre assonnato, stanco e triste ascolti la Sonata 16 da solo nel suo salotto è la prova definitiva che aveva un cuore, da qualche parte, nascosto, sepolto. Mozart fu l’unico archeologo in grado di portarlo alla luce. Per favore, smettete di leggere questo testo e ascoltate subito l’andante della Sonata 16, immaginando questo vecchio uomo d’affari esausto che guarda uno squarcio di cielo sopra il cortile del suo palazzo, sapendo che sta per morire. A ottantacinque anni, una brezza che scuote le foglie di un albero può essere l’apoteosi di una giornata. Basta che il pianoforte suoni certe note in un certo ordine e il mondo sembra quasi compiuto. La Sonata 16 mi permette di dialogare con lui. Lei è la conversazione che non abbiamo mai avuto. Ci connette oltre le parole e la morte. È Mozart che ci uccide.
Un uomo soloè e resterà un dialogo incompiuto (o no, dipende dal credo di ciascuno) con colui che lo avrà segnato con il sigillo della sua assenza, che avrà “fantasmi trasmessi“. Sottolineando le somiglianze (la lama del divorzio) e le differenze (la sacralità del ruolo di padre), mi sembra che l’autore Frédéric Beigbeder seppellisca anche le sue amate utopie e gli egoismi degli anni ’90. Anzi, è come se all’improvviso le avventure di Marc Marronnier e la trilogia di Parango diventassero più obsolete e di minor interesse.
È come se si svelasse un biotopo e si chiarissero le caratteristiche di un pedigree. Qualsiasi lettore fedele comprende meglio il perché e il come del libro.Finestre sul mondoi successi e gli insuccessi all’interno delle agenzie pubblicitarie, il sostegno a un candidato comunista, il fascino per un’America tutta letteraria e il fatto di aver seguito le orme di Salinger, fino a questa non ostilità mostrata nei confronti della prostituzione. Infine, se questo libro mi sembra così importante è perché mostra misericordia, concede il perdono ultimo, assicurando la trasmissione di anime forti ai nipoti che lo leggeranno.
Quest’estate mi ha colpito la letturaL’ultimo uomonotizie pubblicate nelFigMag. Beigbeder evoca in modo fantascientifico la paura della scomparsa del maschio. Trovo meraviglioso che questo libro pubblicato pochi mesi dopo sia dedicato a questo padre Jean-Michel, che non può essere visto che come il Primo Uomo, come lo sono tutti i padri. È certo che Frédéric Beigbeder vive in cammini di adorazione dove non c’è mai un solo cattivo pensiero, dove contano davvero solo le azioni reciproche e la lealtà.
Con quest’opera avanza in questo crepuscolo di umori, si arrabbia, emette grida soffocate, ricerca definitivamente questo bisogno di consolazione impossibile da soddisfare, consapevole delle radici del tempo, pur rimanendo intensamente ardito. Pensa di soffrire di amnesia ma ha conservato il meglio delle reminiscenze accadute nella sua vita, questa è la forza del suo paradosso molto Fitzgeraldiano. Non tutto è semplice questione di volontà, ci sono eventi che vanno desiderati più profondamente, e che richiedono coraggio.
Amare richiede coraggio. Frédéric Beigbeder è coraggioso.
Di Laurence Biava
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