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La morte della ballerina e coreografa americana Judith Jamison

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Judith Jamison, 2 dicembre 2009 a New York. JASON KEMPIN / IMMAGINI GETTY TRAMITE AFP

Il suo sorriso era proporzionale alla sua altezza, 1,78 metri. Ti ha subito avvolto in un cerchio di energia positiva. Radiosa, naturalmente magnetica, la ballerina Judith Jamison ha lasciato tracce scintillanti ovunque andasse. Stella di statura internazionale, musa ispiratrice di Alvin Ailey (1931-1989) negli anni '70, direttrice dell'Alvin Ailey American Dance Theatre, dal 1989, è morta il 9 novembre, a New York, all'età di 81 anni.

Le testimonianze si sono subito moltiplicate su Instagram per celebrarlo. Mikhail Baryshnikov ricorda “la sua eloquenza emotiva e la sua moderazione” quando l'ha scoperta sul palco. Il coreografo Wayne McGregor saluta il“Judith Jamison, ispiratrice, elegante e iconica”. Il ballerino Yannick Lebrun, che da adolescente riproduceva ripetutamente il DVD del balletto Innonella casa di sua nonna in Guyana, ha commentato la scomparsa della donna che lo aveva assunto nel 2008: “Le parole non possono esprimere l’immenso amore e la gratitudine che provo per te, Judi… Grazie per la tua grazia, il tuo coraggio, la tua forza, la tua tenacia nel portare avanti l’eredità di Ailey. Grazie per aver realizzato i miei sogni…”

Judith Jamison è nata il 10 maggio 1943 a Filadelfia, in Pennsylvania. Ha imparato a suonare il pianoforte e il violino da suo padre. Aveva 6 anni quando venne introdotta alla danza classica e moderna, poi al tip tap, alle acrobazie, nonché alla tecnica di Katherine Dunham (1909-2006), una pioniera attivista afroamericana. Circa dieci anni dopo, eccola studentessa alla Philadelphia Dance Academy, dove questa curiosa e spericolata impara tutto ciò che può, affinando un corpo flessibile e reattivo.

Potenza lirica

La coreografa Agnès de Mille (1905-1993) lo assume nel 1964 all'American Ballet Theatre di New York. Un anno dopo, entra a far parte dell'Alvin Ailey American Dance Theatre: aveva 22 anni. Si è rivelata rapidamente una delle interpreti di punta di Ailey, elettrizzando con la sua potenza lirica molti degli spettacoli del coreografo, incluso il suo best-seller, Rivelazioni (1960). Nell'assolo ormai storico Gridare (1971), disegnato per lei il musiche di John Coltrane e gospel, porta alta, tra dolore e morso, la fiaccola di un brano dedicato alla madre di Ailey e a “tutte donne nere ».

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Judith Jamison in “Cry” di Alvin Ailey. JACK MITCHELL/AP

Il suo talento affascina e gli è valso numerose collaborazioni come con il Ballet Cullberg, in Svezia, o il Ballet du XXe secolo, dove Maurice Béjart gli chiese di sostenere la sua versione Il fantasma della rosanel 1978. Due anni dopo, è apparsa a Broadway in Signore sofisticatefondò poi, nel 1988, il Jamison Project, prima di prendere, su richiesta di Ailey, le redini della sua troupe.

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