Critica
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In una vasta operazione postuma volta a pubblicizzare l’opera della fotografa ritratta dall’attrice britannica, il film di Ellen Kuras non arriva al nocciolo della questione.
Da due film recenti il cui protagonista è un fotografo al lavoro sullo sfondo della violenza della storia, Lee Miller di Ellen Kuras è l’esatto opposto diUn’immagine di figlio di Thierry de Peretti. Laddove il secondo ci mostra solo, a titolo di epilogo, il risultato delle foto catturate dalla sua eroina come memorandum e fragile approvazione della vita fittizia che voleva raccontarci, il primo descrive soprattutto la vita reale di Lee Miller mettere in risalto il suo lavoro, per celebrare finalmente il suo genio – anche reale, senza dubbio. Tra lo slideshow definitivo delle tracce di un’esistenza (da Peretti) e il biopic come best of album (da Kuras), c’è una vera differenza. Tuttavia, è l’inclusione nel film del punto di vista del figlio di Miller, Anthony Penrose (Josh O’Connor), che fa luce su questo pregiudizio generale: una madre difficile, che gli era odiosa, rivelandosi, dopo la sua morte e la scoperta dei suoi archivi, la fotografa brillante e appassionata che era stata, il lavoro alla fine salvò e ripristinò la vita. Da un lato, quindi, il film è questa vasta operazione, nella sua essenza postuma, destinata a far conoscere a
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