Testimone privilegiato della rivoluzione del bebop, ha suonato con tutti i più grandi. Il moderno gigante delle batterie, con una carriera eccezionale per qualità e longevità, è morto il 12 novembre 2024.
Di Louis-Julien Nicolaou
Pubblicato il 13 novembre 2024 alle 10:41
Degli musicisti che potevano vantarsi di aver suonato con Duke Ellington, Louis Armstrong, Charlie Parker, Billie Holiday e Lester Young, fu l’ultimo sopravvissuto. Testimone privilegiato della storia del jazz e della rivoluzione del bebop, Roy Haynes è stato anche uno degli inventori della batteria moderna e un leader energico la cui carriera è durata quasi un secolo.
Nato a Boston nel 1925, Roy Haynes imparò a suonare la batteria da autodidatta, prendendo come modello il padre di tutti i percussionisti del suo tempo, “Papa” Jo Jones, allora membro dell’orchestra di Count Basie. Dall’inizio degli anni ’40 venne notato e doppiato da batteristi poco più grandi di lui ma già rinomati, Max Roach e Art Blakey. Nel 1945 arrivò a New York e si unì alla big band di Luis Russell prima di essere assunto da Lester Young. Si dimostrò talmente bravo che alla fine del decennio lo stesso Charlie Parker gli chiese di ricoprire il posto lasciato vacante da Max Roach. Divenne così membro fisso dei gruppi “Bird”, quel tipo di promozione che ti inserisce per sempre nella grande storia del jazz (una famosa foto, scattata a New York nel 1953, lo mostra mentre suona con Parker, Thelonious Monk e Charles Mingus , nel gruppo più entusiasmante che un appassionato di bop possa concepire).
Questa prestigiosa attività non gli ha impedito di accompagnare anche Bud Powell, Stan Getz e Miles Davis, per poi prendere posto nell’orchestra di Sarah Vaughan. Un viaggio del genere, con mostri così sacri, realizzerebbe i sogni di qualsiasi musicista. Haynes ci riuscì in meno di dieci anni, prima di raggiungere i trent’anni. E gli resta ancora molto, molto da fare.
Nel corso degli anni Cinquanta, Roy Haynes, lungi dal rallentare il ritmo dei suoi impegni, continuò a essere alle dipendenze dei più grandi: Sonny Rollins, John Coltrane, Thelonious Monk, Lee Konitz… Un uomo semplice e poco incline all’introspezione, dotato dotato di solido buon senso e radiosa personalità, attraversa il suo tempo con l’imperturbabilità di un personaggio delle fiabe. Non lo colpisce nulla che mina e, troppo spesso, finisce per distruggere i jazzisti del suo tempo. Non fuma, non fa uso di droghe, non beve in modo eccessivo, non sperimenta la miseria, la disperazione o la violenza. Dietro il suo buon umore si nasconde una persona disciplinata che vuole arrivare puntuale ai concerti e preferisce prendersi cura della sua famiglia piuttosto che alimentare la sua leggenda delle eccentricità. Ma se è così ricercato non è solo per questa serietà. Anche i solisti sanno di poter contare sul suo orecchio straordinario, sul suo swing veloce e teso, sulla sua tecnica precisa e sulla sua capacità di seguire le loro melodie passo dopo passo. Tra coloro che adorano il suo temperamento, Rahsaan Roland Kirk dirà: “Suona con una tale spontaneità… Non ti impedisce mai di suonare quello che vuoi e fa molto di più che tenere il ritmo. Lo sento suonare la batteria da qui. »
Se Roy Haynes comincia a pubblicare album sotto il suo nome, vale la pena fare una deviazione (così, per Impulse!, Fuori dal pomeriggio), lo ritroviamo anche in una serie di sessions che hanno dato vita a dischi innovativi oggi considerati dei classici. In soli due anni (1960 e 1961), partecipò notevolmente allo sviluppo diVincolo verso l’esterno, Là fuori et Grido lontano, d’Eric Dolphy, Messa a fuoco, di Stan Getz, Stittsville, di Sonny Stitt, Il blues e la verità astratta, d’Oliver Nelson, Cantando e oscillando, di Betty Roché, e Genio + Anima = Jazz, di Ray Charles. Chi dice meglio?
Seguirono altre collaborazioni con Booker Little, Jackie McLean, Jaki Byard e McCoy Tyner. All’inizio degli anni ’70, la svolta jazz-rock gli offre l’opportunità di mostrare un’esplosività che nulla sembra poter sminuire. Anche quando flirta con il funk latino e la disco (come nell’album Vistalite, pubblicato nel 1977), rimane al di sopra dell’ordinario scegliendo attentamente i suoi musicisti e mantenendo un rigore e una modestia che vanno oltre i suoi ritmi precisi per strutturare completamente la sua musica.
Acclamato all’unanimità per il suo stile unico, Roy Haynes ha ancora alcuni capitoli della storia del jazz da scrivere. Farà prima parte del muscoloso ed elastico trio di Chick Corea (con Miroslav Vitous al contrabbasso), poi si unirà a Michel Petrucciani e Pat Metheny in nuove formule a tre. La sua potenza e il suo modo di suonare molto “melodico” ne fanno un accompagnatore eccezionale, sempre capace di stimolare gli improvvisatori più esperti. All’inizio degli anni 2000, Haynes, ora vestito con improbabili cappelli, camicie e stivali da cowboy, ha reso uno scintillante tributo a Charlie Parker registrando Uccelli di una piuma. Un ritorno alla musica dei vent’anni che non è accompagnato da alcuna nostalgia, l’età non sembra influenzare il batterista.
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A 77 anni possiamo ancora vederlo, al termine di una conferenza stampa, esibirsi in un’impeccabile routine di tip tap. A 80 anni, poi a 90, continuò a suonare, un vecchio abbellito dagli anni, ancora dotato di saggezza e umorismo privo di amarezza. Avvicinandosi al suo centenario, avendo perso poco più che i suoi capelli, rimase incredibilmente fresco di mente, ammettendo tranquillamente di benedire ogni nuova alba. La sua carriera monumentale, che non può che ispirare rispetto senza riserve, un giorno l’ha riassunta in tre parole disarmanti: “Dalla mia adolescenza fino ad oggi, ho semplicemente amato giocare. »