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Jean-Marie Le Pen fece un’ultima inversione di rotta sulla tortura in Algeria pochi anni prima della sua morte

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KENZO TRIBOUILLARD/AFP Jean-Marie Le Pen (qui nel 2014) ha cambiato definitivamente idea sulla tortura in Algeria pochi anni prima della sua morte

KENZO TRIBOUILLARD/AFP

Jean-Marie Le Pen (qui nel 2014) ha cambiato definitivamente idea sulla tortura in Algeria pochi anni prima della sua morte

POLITICA – Confessione finale? Dalla morte di Jean-Marie Le Pen, avvenuta martedì 7 gennaio, i messaggi tributo hanno messo a tacere un aspetto della vita del patriarca dell’estrema destra francese: la guerra d’Algeria e gli abusi da lui commessi nel 1956 e nel 1957 come membro di 1È reggimento paracadutisti stranieri (REP).

Tuttavia, lo stesso fondatore del Fronte Nazionale ha ammesso di aver fatto ricorso alla tortura: “ perché doveva essere fatto. » Era il 1962 sul giornale Combattere. Ha poi ritrattato prima di querelare per diffamazione chiunque si fosse azzardato a rievocare questo passato, nonostante fosse stato documentato negli anni da numerose testimonianze. Finì per ripetere la sua confessione, cinque anni prima di scomparire.

Questo è ciò che impariamo Il mondoquesto venerdì 10 gennaio, in un articolo che racconta le ultime interviste dei giornalisti del quotidiano a Jean-Marie Le Pen. Così, in una conversazione registrata nel 2019, il fondatore del Fronte Nazionale ripete quasi parola per parola ciò che aveva confessato sessant’anni prima.

« Lo faccio agli ordini del mio capitano”

“Trovo del tutto normale, naturale, che estorciamo informazioni agli assassini organizzati, che colpivano alla cieca nei ristoranti, ai balli, con le bombe”, dice l’ex parlamentare ed eurodeputato, all’epoca 91 anni. E per aggiungere: “Ciò che mancava era qualcosa di più, che alzassero il dito e dicessero: ‘E i diritti umani?’ Ebbene sì, ma tu non rispetti i diritti umani, quindi applicheremo i tuoi metodi a te. »

Jean-Marie Le Pen continua: “Il ragazzo deve dirti dove sono le bombe, sarà lui a stabilire la durata del suo calvario. Non lo facciamo per divertimento. Se parla, la sua sfortuna finisce. » In quel momento, il “Menhir”, come lo soprannominarono i suoi amici, non specifica se lui stesso abbia partecipato a questi atti, cosa che trova “del tutto normale”. Lo fa pochi secondi dopo, aggiungendo: “Lo faccio agli ordini del mio capitano. Ci assumiamo i rischi legati alla guerra. »

Difficile, quindi, dopo questa testimonianza – unita a quella del 1962 – dubitare della partecipazione di Jean-Marie Le Pen alla “la domanda”questa logica di abuso dell’acqua o dell’elettricità, adottata in particolare durante la battaglia di Algeri, secondo il lavoro degli storici.

Tanto più che ormai sono numerose le testimonianze e le inchieste in questa direzione, e che attestano il passato da torturatore del padre di Marine Le Pen. Tra queste opere troviamo in particolare una serie di articoli schiaccianti pubblicati da Le Monde all’inizio degli anni 2000 e che rivelavano l’esistenza di un pugnale con inciso il nome “ J.-M.Le Pen, 1È RAPPRESENTANTE. » Un’arma dimenticata dai soldati in un palazzo della casbah di Algeri, luogo dell’assassinio di Ahmed Moulay, un uomo torturato dai paracadutisti nel 1957.

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