Alcune decine di persone stavano tra le pareti della Galleria Ithaca, fiancheggiata da fotografie scattate di recente a Gaza. La serata di inaugurazione della mostra, a metà dicembre, fu come tutte le altre, ma in quello spazio saturo regnava un’insolita eccitazione. Le fotografie ? Preoccupazione pubblica ? Il clima generale a pochi giorni dal passaggio in Siria ? Immagini, occhi, corpi, stati d’animo di ogni tipo si scontravano in un’eco incerta, una chimera. Eravamo a Parigi e a Gaza, liberi e claustrali, aperti e rinchiusi, felici di essere lì, ma immersi in una notte insondabile. Chi non ha visto fino alla nausea le immagini di Gaza di quest’ultimo anno? ? Chi non ha sentito la loro insensata violenza ? Lì, come parte di un’apertura, attaccate al muro, getti d’inchiostro a colori senza cornice, le fotografie disposte a scacchiera eccitavano i neuroni in modo strano, a piccoli morsi.
Per l’occasione Amer Nasser ha inviato un messaggio tramite WhatsApp. Voce dolce, calma, vicina: « Giorno benedetto, ha detto, Stamattina ho ricevuto un pacco alimentare, con mezzo chilo di zucchero, la nostra dopamina. » Tutti ascoltano e, forse per emozione o per uno spavento sconosciuto, il discorso sembra parassitario, mentre la voce di Amer Nasser dispiega un suono chiaro e opale. « Con tutto quello che ci succede, ha detto, ci sono ancora segni di vita a Gaza e (la mia mostra) testimonia infinite azioni umane nelle condizioni più disumanizzanti, solo per sopravvivere. »
Regista e fotografo palestinese nato nel 1991 a Gaza, Amer Nasser ha prodotto e diretto film sulla vita dei palestinesi a Gaza. È stato produttore per il canale UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente. Oggi vive nel nord di Gaza, la parte più devastata dall’esercito israeliano, perché tutto indica che è destinata ad essere annessa al territorio israeliano. Sorgono allora tante domande: cosa succederà ad Amer Nasser nei prossimi giorni? ? E questi milioni di tonnellate di rovine, a quale oblio sono condannati, in quali incubi e sogni finiranno nel futuro? ?
« Tutte le strade portano alla distruzione »
Tra le fotografie appese al muro vediamo una scena un po’ diversa dalle altre perché le masse di macerie non saturano l’inquadratura. C’è una bambina sorridente che bacia un cane bianco. Luminosi sono gli occhi del bambino, nebbiosi e distanti quelli dell’animale la cui sagoma al centro dell’immagine diffonde una luce immacolata, lattiginosa, si direbbe generosa, nonostante la ferita scarlatta sul dorso. Due paia di occhi perfettamente allineati sulla stessa verticale, equidistanti da un piccolo paio di mani che abbracciano il collo dell’animale, così come un paio di orecchie bianche erette, vigili. Queste due teste, così perfettamente e naturalmente raccolte, questo piccolo rettangolo che occupa una porzione congruente dell’inquadratura, attraversano lo spazio nel modo più stupefacente e selvaggio, per significare proprio ciò che dall’altra parte dei posti di blocco abbiamo dimenticato: la forza e la entusiasmo di vivere nelle peggiori condizioni. D’altro canto siamo forti, realizzati, ma sempre in agguato nel lamento della sfortuna.
C’è anche un’altra fotografia, Tutte le strade portano alla distruzione a Gaza (Tutte le strade portano alla distruzione a Gaza) un viale in rovina, che ne ricorda altri, Aleppo, Hiroshima, Dresda e Berlino, Verdun… Alcune didascalie allegate alle immagini ricorrono al grottesco o alla farsa, come Esempi di progetti di interni per l’esercito israeliano a Gaza (Modello di interior design per l’esercito israeliano a Gaza), o Parata militare di Gaza (Parata militare a Gaza), che mostra sacchi di farina collocati all’interno di una scuola per sfollati. Ci ricordano che la derisione fino alla caricatura nasce nelle situazioni più tragiche, per salvarci. « Queste rovine dai colori vivaci, mi passa un amico, produrre un effetto sconcertante. » La fotografia è spesso imbarazzante, addirittura appiccicosa, perché tenta di dare forma e ragione a ciò che è aberrante, se non sfuggente. Dovremmo ringraziarla o avercelo contro di lei? ?
Cosa possiamo dire di queste masse frastagliate, questi liquami minerali, catturati da uno smartphone, trasmessi utilizzando un lungo palo, tenuto a distanza di un braccio, per catturare un po’ della rete? ? Tutte queste fotografie trasmesse a Parigi tramite internet, per essere trascinati a migliaia di chilometri dal caos che li ha visti nascere. Quanto è difficile separare queste immagini dalle azioni che le danno origine. Che si tratta di un blocco quasi inafferrabile, prodotto da vili aggregati di cemento, un fascio di segni folli e amorevoli, nutriti da un’energia rara, che attraversa lo spazio, il cosmo, alla velocità della luce ? Che siano pieni di una travolgente malinconia per la decomposizione del mondo che sappiamo essere il nostro orizzonte, il destino scelto dagli attuali leader politici per rimanere nella storia ? Che questo scontro è una follia aurata, trasfigurata, fatta per proteggersi da una demenza omicida ? Dovremmo vergognarci, di fronte a queste immagini, di essere ancora salvi, o di essere fatti della stessa carne dei carnefici? ? Dovete ascoltare Amer Nasser: ovunque voi siate, date segni di vita, di attaccamento profondo…
« Un tentativo di ricordare »
Amer Nasser a volte si ritrova posseduto da una giusta malinconia, come nel comunicato stampa della mostra:
Dall’ottobre 2023, armato di ciò che mi resta della guerra di Gaza – la mia macchina fotografica – cerco gli ultimi segnali di vita, che invio al mondo, come meglio posso, affinché un giorno, forse, qualcuno possa testimoniano che c’era vita a Gaza […] La mia macchina fotografica cattura la morte del momento, ma anche la vita che prende il sopravvento. Ogni immagine testimonia momenti istantanei, sforzi per (sur)vivere, per continuare il proprio viaggio, per inventare mezzi alternativi per sfuggire alla morte. È un tentativo di ricordare, anche se dimenticare è stata una benedizione nella vita passata.
Dimentica i film documentari e di finzione, le proiezioni ai festival cinematografici di Dubai o Alessandria, la programmazione all’Istituto del mondo arabo di Parigi, i progetti cinematografici con i suoi fratelli Arab e Tarzan Nasser, di cui prossimo sta scrivendo film, C’era una volta a Gaza (2025) ? Nessuna domanda al momento.
Amer Nasser a volte geme. Qualche mese fa sul quotidiano svizzero Il corriere, ha testimoniato:
Penso che se fossi un pittore e iniziassi a lavorare su un pezzo dal 7 ottobre, con un mare, un cielo e un uccello che vola in mezzo, a quest’ora non sarebbe finito […] Molte società di produzione persero le loro attrezzature, bruciate dall’esercito. Coloro che lavorano nel settore artistico ora cercano pacchi di cibo e fanno la fila per cibo e acqua, senza tempo per dedicarsi alle scene artistiche. Non hanno tempo perché hanno bambini e famiglie che li aspettano1.
Sospiro amaro, se la tua vita lo richiede, la tua voce vive in noi !
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