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Giorgio Sommer / Fratelli Alinari

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Questo è il 38° dialogo del Collezione Ettore Molinario. Ecco due straordinari interpreti della fotografia italiana, George Sommer et Fratelli Alinari. Ed ecco un libro che mi ha guidato nelle viscere della Terra e mi ha fatto conoscere la bellezza del Grand Tour più estremo.

Ettore Molinario

La mia prima immersione è avvenuta tra le pagine di Viaggio al centro della Terra. Lettura iniziatica in età canonica poi ritorno costante, come se uno dopo l’altro questi strati di carta mi trascinassero non solo nelle viscere del nostro pianeta, ma dentro di me, nelle cavità profonde dove risuona la voce più libera e oscura, più autentica. . Quest’anno ricorre il 150° anniversario della prima traduzione italiana del romanzo di Jules Verne, dieci anni dopo l’uscita dell’edizione originale nel 1864. Per me questo anniversario è una grande festa perché sono diventato speleologo marino e collezionista di fotografia, concetti sinonimi per me, grazie a questo libro che ho letto quando ero piccola. Proprio un ragazzo, perché mi sentivo il compagno di Axel, il protagonista e nipote del professor Lidenbrock, e con Axel ho immaginato di tradurre la pergamena in runico e decifrandola ho capito che la porta d’ingresso del viaggio più incredibile era il cratere di un vulcano. Ma soprattutto, con Axel, ho anche preso “lezioni dell’abisso” sul campanile del Frelser Kirk di Copenhagen e mi sono allenato in quello che avrei fatto con piacere anni dopo: guardare in profondità, sfidare l’abisso senza paura, sentire che l’oscurità dell’abisso una grotta marina, a quasi cento metri dalla superficie della terra, è una casa, un’altra casa, tanto intima quanto spaventosa, ma accogliente. Una casa perfetta. Ed è lì che ha preso forma la mia collezione.

Nel capolavoro di Jules Verne, il viaggio inizia nel cratere spento del vulcano Snæffels in Islanda. I due eroi, affiancati da Hans, la guida islandese, seguono le indicazioni della misteriosa mappa e, seguendo un’ombra che punta verso il fondo del vulcano a mezzogiorno, individuano l’ingresso, l’abisso da cui inizia il viaggio verso il centro del vulcano. la Terra. Nel corso degli anni ho sottolineato molte volte queste righe e non posso fare a meno di raccontarle nella loro bellezza. Axel scrive: “Mi sono chinato su un bordo roccioso e ho guardato in basso. Mi si sono rizzati i capelli. La sensazione di vuoto mi ha preso. Ho sentito il mio centro di gravità spostarsi e le vertigini salire al mio cervello come un’ebbrezza. Niente è più terribile di questa attrazione dell’abisso. Stavo per arrendermi. Una mano mi teneva: quella di Hans. Euforia, attrazione, abisso, queste sono parole magiche per me.

Nel ripercorrere la storia della nascita della mia collezione, ho più volte ricordato che il mio primo abisso, il primo cambiamento di gravità emotiva, era stato Uomo con cane di Joel Peter Witkin. Ma il primo “luogo” che ha avuto il dono profetico di unire i miei sogni, le mie ossessioni e la concretezza della realtà è stato il cratere del Vesuvio, rappresentato dai Fratelli Alinari. Immergendomi in questa immagine, ho ripercorso in un attimo tutte le mie età, l’adolescenza del viaggio cartaceo, la prima maturità alla scoperta di sé, la piena maturità che vivo oggi. E ancora oggi mi basta contemplare questa vecchia stampa all’albumina per ritrovare me stesso: sono sull’orlo del vulcano, l’abisso è davanti a me, la macchia scura del muro di fronte mi guarda come l’orbita vuota di un teschio. Sento anche lo scricchiolio dei sassi sotto le scarpe. Ho scoperto così la grandezza della fotografia italiana dell’Ottocento, avvertendo i tempi lontani delle mie pulsioni che credevo legate solo alle immagini contemporanee. Ma no. Senza nemmeno pensare allo straordinario finale di Viaggio al centro della terra quando Axel, il professor Lidenbrock e Hans navigano nell’onda di magma del vulcano Stromboli e ritornano in superficie. Per rivedere la giornata ho preferito restare vicino al Vesuvio e allo sguardo di Giorgio Sommer, altro magnifico protagonista della stagione dei Grandi Giri. Un attimo e mi ritrovavo al centro dell’anfiteatro romano di Pompei. Come la statuina la cui missione era scalare l’architettura, anch’io sono sola. Cammino, costeggio l’ovale dell’arena, conto i gradini su cui un tempo sedevano ventimila spettatori e vedo entrare i gladiatori, pronti a affrontarsi. Ogni volta che un’immagine entra nella collezione è così, un viaggio, una scommessa, una lotta, uno spettacolo.

Ettore Molinario

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