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Harriet Backer al Museo d’Orsay, pittrice di atmosfere

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Nel suo autoritratto incompiuto, posto come preambolo alla mostra del museo d’Orsay, Harriet Backer, 65 anni, ci fissa con uno sguardo feroce. Leggiamo nei suoi occhi la determinazione incrollabile di colei che ha condotto la sua vita di artista e di donna come meglio credeva. “Se mi fossi sposato avrei smesso di dipingere ma ero troppo bravo per farlo” confidò all’amica Kitty Kielland, paesaggista e femminista impegnata, con la quale condivise per decenni un appartamento-studio.

Proveniente da una famiglia ricca e colta (il padre, amante della musica, era console e armatore), Harriet Backer era destinata alla monotonia di un’esistenza borghese. Questo senza tenere conto della sua passione per la pittura e della sua forza di carattere. A 21 anni convince i suoi genitori a far studiare all’estero lei e la sorella minore Agathe, musicista. Con sorprendente libertà per l’epoca, viaggiarono da Berlino a Colonia, da Firenze a Roma, dove Harriet prosperava visitando i musei.

Dieci anni a Parigi

La sua ammirazione per i maestri del Secolo d’oro olandese, da Rembrandt a Vermeer, si riflette nei suoi primi dipinti, scene di genere storico in tonalità marroni e realizzate con cura. A Monaco, luogo di incontro degli artisti norvegesi, stringe amicizia con altre pittrici, con le quali prosegue la sua formazione assumendo insegnanti e modelle, essendo l’Accademia di Belle Arti riservata agli uomini.

Fu a Parigi, dove rimase per dieci anni, che il suo talento, scoperto dal suo maestro Léon Bonnat, venne alla luce. Abbagliata da Monet e dagli audaci impressionisti, abbandonò il rigore accademico, liberò il suo tocco e ravvivò la sua tavolozza, come in questo delicato Interni blu (1883), che segna l’inizio di una lunga serie di rappresentazioni di donne sole, che cuciono, leggono, vegliano su una culla, alla luce di una finestra o di una lampada. Fragili momenti di calma, rubati alle responsabilità domestiche, dipinti in interni dai toni tenui, di cui Harriet Backer eccelle nel trasmettere l’atmosfera pacifica, quasi raccolta.

Ossessione per gli effetti di luce

Nel corso della sua carriera, segnata da quasi 230 dipinti (un corpus limitato a causa del suo perfezionismo), Harriet Backer non smetterà mai di sperimentare, modificando il suo stile, pur mantenendo un’ossessione per i giochi di luce e i riflessi colorati sulle superfici. Qui, i muri di calce delle case contadine; lì, i legni verniciati delle piccole chiese medievali, tipicamente norvegesi, che dipinge in un momento in cui l’autonomia culturale del paese si stava affermando di fronte all’ex dominazione danese.

Questa umanista rivolge uno sguardo sensibile alle persone a lei vicine, alle “piccole persone” del suo tempo, ai dettagli della vita quotidiana. Sostenuto da mecenati fedeli e dallo Stato (tramite borse di studio e acquisti anticipati), incoraggiò a sua volta i giovani talenti, unendosi al comitato di acquisizione della Galleria Nazionale, e creando, nel 1891, una scuola d’arte mista, la prima in Norvegia. Una generosità discreta, come la sua pittura.

“Harriet Backer (1845-1932), la musica dei colori”, fino al 12 gennaio, al museo d’Orsay. Esplanade Valéry-Giscard-d’Estaing, 75007 Parigi. www.musee-orsay.fr

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