La Norvegia è sotto shock. E per una buona ragione: in primo luogo, ne avevamo già rubato uno Cri (la versione della Galleria Nazionale di Oslo) nel 1994, durante le Olimpiadi di Lillehammer. I ladri avevano lasciato un post-it imbarazzante: “Grazie per la mancanza di sorveglianzaLa vernice è stata recuperata qualche mese dopo, ma c’è ancora un bel po’ di disordine.
Soprattutto da quando se L’Urlo è un’opera del cuore per i norvegesi, che vedono in essa la modestia scandinava nell’esprimere i sentimenti, l’opera ha anche un’aura globale. Chi non pensa di avere negli occhi questa immagine (“eh, non so di che quadro parli?“) non gli resta che dare un’occhiata più da vicino all’emoji “paura” sul suo smartphone, il cui volto è preso in prestito dall’opera più famosa di Edward Munch. Cri, di cui ha prodotto cinque interpretazioni in totale, ha ispirato anche l’espressione inorridita di Macaulay Culkin sul poster di Mamma, ho perso l’aereo o la spaventosa maschera del pazzo Grido. E senza contare il numero di incalcolabili oggetti derivati sui quali abbiamo poi potuto “contemplarlo”, dal tappetino del mouse alla tovaglietta plastificata, passando per i cuscini, i calzini e la gonna, infine la cravatta urlante – cravatta il cui evento di esibizione deve da scegliere con attenzione, perchè il soggetto raffigurato non è chiaro.
Depressione pittorica
Edward Munch ha dipinto la sua prima versione di Cri nel 1893, visibile alla Galleria Nazionale di Oslo, quando attraversava un profondo episodio depressivo. L’opera rappresenta un uomo dal volto spettrale attanagliato dalla paura, in un ambiente esterno fatto di zone pianeggianti luminose. Il protagonista sembra isolato, nonostante le figure sullo sfondo, dall’altra parte di un ponte. Possiamo anche identificare i luoghi. Questo è il porto di Oslo visto dalla collina di Ekeberg. Questa immagine può essere paragonata ad un evento raccontato dall’artista stesso. “Stavo camminando su un sentiero con due amici – il sole stava tramontando – all’improvviso il cielo è diventato rosso sangue. Mi fermai, stanco, e mi appoggiai a una staccionata – c’era sangue e lingue di fuoco sopra il fiordo nero-azzurro della città – continuarono i miei amici, e io restai lì, tremante d’ansia – sentii un grido infinito che attraversava la universo e che dilaniò la natura.
Munch voleva dipingere la sua vita, la mostra al Beaubourg
Questo estratto di diario ci permette di comprendere qualcosa di fondamentale che spesso sfugge alla prima lettura di quest’opera. Non è l’artista/protagonista in sé a gridare, bensì la natura che lo circonda. Ciò è confermato dal primo titolo dell’opera che era Il grido della Natura. E se i tratti della figura del personaggio sembrano essere stati presi dall’artista da una mummia peruviana che vide nel 1889 durante l’Esposizione Universale di Parigi, d’altro canto l’attimo raffigurato, la potenza dei colori, la forza della linea, questo cielo irradiato, potrebbe riferirsi all’eruzione vulcanica del monte indonesiano Krakatoa nel 1883, le cui conseguenze meteorologiche raggiunsero allora i cieli dell’Europa.
Ma alla fine, L’Urlo, anche nella versione in bianco e nero della mostra in corso al Palazzo Reale di Milano, forse più modesta, esprime gli spasmi del pittore. Ciò non è insignificante se consideriamo Edward Munch come uno dei precursori dell’espressionismo in pittura, vicino a Van Gogh e Gauguin. Questo urlo silenzioso per l’angoscia di una fine che ci supera; Questa oscura malinconia umana sono i temi che hanno irrigato il lavoro del norvegese da quando, all’età di 16 anni, ha deciso che sarebbe diventato un pittore. Il suo progetto, che ha avviato molto presto, Fregio della vita, mira a mostrare gli stati d’animo della sua esistenza.
Proveniente da una famiglia eccessivamente puritana – suo padre, un medico militare molto religioso, era quasi impazzito per il bigottismo, disse – Munch conobbe la malattia e il suo corollario, la morte, in tenera età. Sua madre morì di tubercolosi quando lui aveva solo cinque anni. Otto anni dopo, sua sorella Sophie morì della stessa malattia che diede origine al dipinto Il bambino malato, dipinto nel 1885.
Molto presto, quindi, Munch intendeva ritrarre i sentimenti che lo attanagliavano, per condividere con lo spettatore le difficoltà dell’essere. Uno stile all’avanguardia per l’epoca, che inizialmente crea diffidenza, addirittura disgusto, nei confronti del suo lavoro. Quando il tavolo l’Urlo fu mostrato al pubblico per la prima volta nel 1895, ancora non si parlava di salute mentale. La visione di Munch è inquietante, al punto che uno studente di medicina suggerisce che il pittore dovesse avere un problema psicologico. Inoltre, se guardiamo la tela, troviamo questa menzione: “Non può che essere stata dipinta da un pazzo”, aggiunta dallo stesso Munch, a posteriori della ricezione della sua opera.
La polizia norvegese, non così folle, è riuscita a mettere le mani sui Munches rubati nell’agosto 2006. Più paura che danno.
⇒”Munch, il grido interiore”, al Palazzo Reale, a Milano, fino al 26 gennaio. Info: https://www.palazzorealemilano.it
⇒”Munch Portraits”, alla National Gallery, Londra, dal 13 marzo. Info: https://www.npg.org.uk
L’Urlo costa denaro!
Nel 2012, un multimilionario americano ha acquisito $ 119 milioni (91 milioni di euro) una versione di Cri a pastelli su cartoncino. Appena 12 minuti per raggiungere questo record di vendite da Sodeby’s. Il fatto che le altre tre versioni dell’Urlo si trovino nel museo, quindi inaccessibili ai collezionisti. spiega un prezzo d’acquisto così eccezionale. Il collezionista non poteva lasciar passare la questione.
Sempre a Milano: Eva Jospin da Max Mara
L’artista Eva Jospin (Parigi, 1975), che aveva già sedotto il direttore artistico della casa di lusso Dior che gli aveva commissionato l’arredamento di una sfilata di haute couture, si sarà distinta ancora una volta in un concorso indetto dalla collezione Maramotti . Questa è la sua opera intitolata Microclima che ora si trova sulle alture di Piazza del Liberty a Milano, sotto il tetto di vetro della boutique Max Mara.
Lo scultore francese, che ha fatto del cartone il suo materiale preferito, ha immaginato, per questi luoghi, un’intera vegetazione rigogliosa che sembra fiorire al riparo di una serra. Piante curiose, liane, foglie enormi sotto le quali ci ripariamo e di cui dimentichiamo presto l’aspetto di cartone.
Attenzione però, il titolo dell’opera ci solletica: Microclima Ci ricorda la fragilità delle costruzioni umane, in questo caso, una serra che crede di circondare la natura? Mentre la natura non accetta di lasciarsi racchiudere tra muri. Non c’è alcun angelismo estetico in questa proposta che, tuttavia, non manca di sfidare con la sensazione di immersione in un altro mondo che crea. Va anche detto che Eva Jospin ha collaborato con il profumiere Julien Rasquinet che ha cercato di ripristinare la traccia olfattiva di una serra tropicale, per perfezionare questa sensazione di entrare in un universo singolare, tra ricordi e proiezioni mentali. Eva Jospin spiega: “A un certo punto era come se queste architetture naturali, queste “porte di roccia”, questi ingressi verso mondi sconosciuti, fossero diventati un’ossessione. E in questa ossessione la natura diventa un mistero che avvolge l’uomo in una spazialità sorprendente. Era l’idea di varcare la soglia di un’altra dimensione“. (AV, a Milano)