Dall’8 novembre all’8 febbraio, l’Archivio Comunale di Lione dedica una retrospettiva a Gilles Aymard, architetto diventato fotografo. La storia di due discipline che si intrecciano e non si lasciano mai andare.
Nell’intervista rilasciata in occasione della sua retrospettiva “Vedi Vivere l’architettura” All’Archivio Comunale di Lione, Gilles Aymard ci racconta, tra le altre cose, quanto sia legato a Lione, sua città natale, all’architettura e alla fotografia. Quando scopriamo il percorso espositivo immaginato da Laurent Baridon, capiamo soprattutto quanto il fotografo sia amante della luce, degli edifici, delle persone che li animano e della vita che li circonda.
Nelle sue fotografie, Gilles Aymard fa parlare le persone tanto quanto gli edifici e gli elementi che li compongono, quelli di ieri, oggi e domani. A casa ognuno trova il suo posto.
Gilles Aymard è conosciuto inizialmente come fotografo di architettura, attività che ha avviato dopo quasi 20 anni come architetto e che gli ha permesso di viaggiare in tutto il paese al servizio di agenzie di architettura, sviluppatori, aziende e tutti gli attori dell’edilizia. Un’esperienza ricca di incontri, ma anche di scoperte che ha sempre immortalato in una pratica più personale della fotografia. Perché questo è anche il lavoro di Gilles Aymard, fotografo di architettura che si rivela anche architetto della fotografia.
Nel corso di cantieri o missioni al servizio del patrimonio, il fotografo ha prodotto, insieme alle sue commissioni, decine e decine di serie che mettono in risalto i dettagli degli edifici, i giochi di forme, gli artigiani, gli uomini e le donne che passano, le disposizioni casuali trasformato in una vera e propria composizione grafica, di cui solo lui possiede il segreto. La mostra si apre così con una serie di ritratti di edifici, poi il fotografo di architettura si rivela fotografo a pieno titolo. Serie di scatti di scale o griglie di elementi architettonici ripetitivi catturati quasi diventano tele.
Poi entrano in scena gli esseri umani, i passanti sembrano chiacchierare con statue e monumenti di Torino, Lisbona, Berlino e ovviamente al Parc de la Tête d’Or. Poi non sono più gli uomini, ma il tempo che passa, sugli edifici, sulla pietra, e poco a poco quello che erano scompare, restano solo tracce che anch’esse svaniranno. Abbiamo visto questi segni sui muri 10 volte e mai così. Gilles Aymard sa mettere in risalto ciò che vediamo senza vederlo, rende l’architettura viva e persino poetica in certe foto.
La sezione “Vibrazioni di luce” è uno specchio tra due serie di foto architettoniche scattate alla luce del giorno vs luce artificiale, per una resa dei contrasti degna di disegni o dipinti. La mostra, infine, mostra tutta la dimensione umanista nell’opera di Gilles Aymard, ma anche il rispetto per i mestieri, il know-how e tutti gli anelli della catena che progetta e costruisce un edificio: gli artigiani, i compagni, gli operai , questi uomini-macchina spesso si appollaiavano a metri dal suolo, ma erano ben ancorati alla realtà.
Un viaggio di oltre 135 fotografie che ci ricorda che la fotografia è ovviamente una questione di percezione e sensibilità, ma anche di dialogo, l’architettura secondo Gilles Aymard ne è una bellissima illustrazione.
E Laurent Baridon, curatore della mostra, aggiunge “Gilles Aymard dipinge un ritratto di tutte queste vite architettoniche: quella dei progettisti e dei costruttori che le danno corpo e vita, quella dei volumi che rivelano la personalità dell’edificio, quella dei forme che si muovono nella luce, quella dei dettagli che catturano le pulsazioni del momento, quello degli uomini e delle donne che lo abitano e, nel momento della rovina, quello del decadimento e del decadimento. »
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