En abbassando di un livello il rating del debito sovrano francese sabato 14 dicembre, l'agenzia Moody's si è scambiata per un imperatore romano che dà il pollice verso durante i giochi per dichiarare l'insostenibilità delle nostre finanze pubbliche?
Fortunatamente Moody's non ha questo potere imperiale sui mercati. Come spesso accade, la sua decisione avrà scarso effetto sui tassi di interesse, poiché le agenzie di rating generalmente convalidano le aspettative già prese in considerazione dagli investitori. Ma questo deterioramento solleva una vera domanda: la Francia sarà in grado di onorare i propri impegni e rifinanziare il proprio debito? Insomma, il debito pubblico francese è davvero sostenibile?
La questione della sostenibilità del debito è sulla bocca di tutti, soprattutto nell'attuale clima di incertezza politica. Nessuno però è in grado di darne una definizione precisa.
Alcuni lo vedono come un requisito contabile, come se la sostenibilità dipendesse esclusivamente da calcoli accademici sulla crescita e sul deficit, con l’obiettivo di rispettare regole rigide. Ma siamo onesti, le previsioni di bilancio di Bercy sono affidabili quanto le previsioni meteorologiche di un tempo.
Un concetto universale
Altri lo vedono come un argomento morale, affermando che il debito insostenibile peserebbe pesantemente sulle generazioni future, o lo presentano come un prerequisito per garantire l’efficacia delle politiche economiche e proteggere l’economia dalle crisi. In realtà, la sostenibilità è diventata un mantra, un concetto onnicomprensivo che tutti brandiscono per servire la propria causa: sostenere il rigore di bilancio, legittimare le regole contabili o giocare la carta della moralità intergenerazionale.
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Gli stessi economisti faticano a trovare un accordo. Certo, sono d’accordo sui pericoli di un debito pubblico che diventerebbe incontrollabile – il famoso effetto valanga – ma non riescono a definirne i contorni. Nella letteratura accademica emergono tre approcci, ma ciascuno presenta dei difetti.
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