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Michel Barnier e la sua teoria del “meno deflusso”

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A Bercy lo chiamano Jean-Paul. È il nuovo migliore amico del fisco. Jean-Paul, il radiologo, fidanzato, con 500.000 euro di entrate fiscali annue, senza figli a carico. Jean-Paul, il candidato ideale per dimostrare chiaramente all’opinione pubblica che questo governo risparmia i poveri e contribuisce” coloro che possono fare uno sforzo di solidarietà » per evitare “ la crisi finanziaria » che rimbomba. Giovedì sera, su France 2, poi questo venerdì davanti agli agricoltori, Michel Barnier lo ha sottolineato chiaramente: preferisce “correre il rischio di essere impopolare piuttosto che essere irresponsabile”: con si diffonde che sono tesi sul debito, non si tratta di far soffrire i francesi la crisi greca. Un modo per avvertire che il piano di risanamento della finanza pubblica da 60 miliardi di euro è un male minore al quale bisogna rassegnarsi.

Obbligato a preparare un budget tra quindici giorni », Michel Barnier n’a« non c’è tempo » come direbbe Michel Fugain, per vano “ controversie “, come quello aperto dentro il suo magro” maggioranza relativa » di Gerald Darmanin. L’ex ministro dei Conti pubblici (che dovrebbe saper contare) giudica” inaccettabile » un aumento delle tasse, perché secondo lui questo « aumentare la disoccupazione », dimostrazione in cinque punti, non necessariamente convincente.

Jean-Paul, e i 65.000 contribuenti colpiti dall’aumento dell’imposizione personale, ma anche le circa 300 grandi imprese con più di 1 miliardo di euro di fatturato che pagheranno più imposte sulle società possono sentirsi difesi. Ciò non impedirà che il disegno di legge arrivi a loro perché, anche i datori di lavoro ne sono convinti, la Francia non ha molta scelta. L’orologio del giudizio universale finanziario si avvicina a mezzanotte.

Mai visto prima

E i macronisti seguaci del “trickle down”, teoria tanto famosa quanto vaga, la cui rilevanza resta da dimostrare, farebbero meglio ad assumere il dolore che hanno lasciato in eredità al successore di Gabriel Attal piuttosto che riportandolo indietro, per dirla senza mezzi termini. Perché la situazione scoperta da Michel Barnier arrivando a Matignon è in realtà “ molto più serio » di quanto pensassimo quest’estate. Per ridurre il deficit pubblico al 5% del Pil, e cercare di risollevare la credibilità finanziaria danneggiata della Francia, è necessario un aggiustamento di oltre 2 punti di Pil perché altrimenti, in termini tendenziali, il deficit si avvicinerebbe al 7% del Pil nel 2025.

Una cosa inaudita, anche durante la recessione del 1993, quando Edouard Balladur lasciò scivolare i conti pubblici, portando al piano di ripresa di Alain Juppé, poi alla coabitazione Chirac-Jospin. La Francia però non è in recessione: secondo le ipotesi la crescita sarebbe dell’1,1% l’anno prossimo” temperato » del Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria, Antoine Armand. Non ne fa mistero, è arrivato il momento” sincero e lucido » sulla situazione dei nostri conti pubblici. È davvero giunto il momento…

La macchina fiscale a pieno regime

È quindi giunto il momento di revisioni strazianti dei paradigmi fiscali. Il contributo eccezionale che colpirà Jean-Paul e i francesi più ricchi dovrebbe ammontare a 2-3 miliardi di euro, che sommati ai 2 miliardi di imposta sul patrimonio immobiliare, equivalgono all’incirca a ricostituire i proventi del defunto ISF, abolito nel 2018 dal Emanuele Macron. Sette anni dopo, non scorre più.

E la macchina fiscale torna a funzionare a pieno regime: nel 2025 tasseremo” tutto ciò che si muove, che galleggia, che vola e che rotola “. Sanzione automobilistica, tassa sui biglietti aerei, contributo” volontario » della marina mercantile (che risparmia all’ultimo minuto la sua tassa sul tonnellaggio, salvo sorprese nel dibattito parlamentare), dividendo eccezionale per EDF, sovrapprezzo » temporaneo » della SI, riforma dell’apprendistato e riduzione degli sgravi contributivi datoriali. La politica dell’offerta dà un duro colpo alla testa.

Jean-Paul, il radiologo che guida una Porsche e va per un fine settimana a Ibiza o Mikonos, si riprenderà senza dubbio. Ma il rischio politico principale per Michel Barnier si presenterà soprattutto quando i francesi prenderanno coscienza dell’impatto dei 40 miliardi di euro di risparmi previsti da questo bilancio. Molti sportelli social si prosciugheranno. Il primo effetto visibile, decantato questa settimana, è il rinvio dell’indicizzazione delle pensioni al 1 luglio 2025. La decisione sta già facendo scalpore, ma si spiega comunque con la grande generosità elettorale dell’indicizzazione del 5,3% delle pensioni decisa lo scorso gennaio di Emmanuel Macron, con un costo di 15 miliardi di euro, molto superiore alla realtà di un’inflazione che torna al 2% a fine anno, e molto maggiore dell’aumento dei salari. “ Spostare l’indicizzazione delle pensioni significa derubare i nostri anziani “, tuona già Marine Le Pen.

Possiamo vedere prendere forma la battaglia parlamentare di questo autunno. I macronisti denunceranno gli aumenti delle tasse in nome della competitività e della politica dal lato dell’offerta. E la sinistra RN e PFN si batteranno contro i risparmi sulla spesa sociale, sia che si tratti della riduzione delle pensioni o di quella dei rimborsi delle casse sanitarie. Se con tutto questo Michel Barnier riesce a far votare il suo bilancio 2025 senza 49,3, possiamo dire: tanto di cappello all’artista! Come direbbe il già compianto Michel Blanc (nell’indimenticabile “Les Bronzés sont du ski”): “Ascolta Michel, dimentica che non hai alcuna possibilità, vai avanti, provaci! Non si sa mai, un malinteso potrebbe funzionare…

La parte più difficile rimarrà: l’impatto macroeconomico della ripresa fiscale del 2025 deve ancora manifestarsi e avrà inevitabilmente effetti recessivi su una crescita già lenta. Se fosse meglio prevenire la crisi finanziaria piuttosto che curarla, un piano per rilanciare gli investimenti in Europa sarebbe più che benvenuto. Un po’ di Barnier per ripristinare la nostra credibilità va bene, ma tanto Draghi per ripristinare la crescita sarebbe meglio!

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