Riemerge la minaccia di una guerra commerciale sulle automobili americane. Ma tra retorica elettorale e realtà industriale, l’applicazione dei dazi doganali prevista da Donald Trump solleva interrogativi sul futuro del settore e sulle sue ricadute economiche.
Mentre il presidente eletto Donald Trump promette tariffe aggressive per “proteggere” l’industria automobilistica americana, il suo piano suscita preoccupazione e scetticismo. Dietro gli slogan politici, la realtà delle catene di approvvigionamento globalizzate rende questa promessa complessa, persino irrealistica. Le case automobilistiche e i consumatori potrebbero pagare un prezzo elevato.
Patriottismo industriale ad alta tensione
Donald Trump retcon tariffe, promettendo di riportare l’industria automobilistica statunitense sotto i riflettori tassando pesantemente le importazioni. La teoria? Punire parti e veicoli prodotti al di fuori degli Stati Uniti per incoraggiare i produttori a “tornare a casa”. La pratica? Un meccanismo più complesso di quanto suggeriscano i suoi discorsi. La proposta di punta del presidente eletto, presentata in pompa magna questa settimana, prevede: una tassa del 25% su tutti i prodotti provenienti dal Messico e dal Canadapaesi partner dell'accordo Stati Uniti-Messico-Canada (USMCA). Questo patto commerciale, sebbene negoziato dallo stesso Trump, aveva fino ad allora protetto il commercio automobilistico nordamericano. Ma questa politica protezionistica potrebbe sconvolgere questo equilibrio ridefinendo ciò che è veramente “americano”.
Per ironia della sorte, anche il Ford F-150 (il modello più venduto negli Stati Uniti) non sfugge a questa complessità. Con solo il 45% dei pezzi provenienti dagli Stati Uniti o dal Canada, Il pick-up preferito dagli Stati Uniti è ben lontano dal puro “made in USA” sostenuto da Trump come riportato dalla CNN. Quanto alla Tesla Model 3 e alla Honda Ridgeline (modello non commercializzato in Francia), gli unici veicoli che raggiungono il 75% di contenuto nordamericano, anch'essi dipendono dall'apertura delle frontiere per preservare la loro competitività. Trump afferma che le sue tariffe riporterebbero posti di lavoro negli Stati Uniti, una visione che piace al suo elettorato. Ma la realtà industriale è ben diversa. Anche se magicamente apparissero le fabbriche americane, i loro costi di produzione rimarrebbero molto più alti di quelli degli stabilimenti messicani o cinesi. Le parti prodotte localmente, sebbene “patriottiche”, rimarrebbero inaccessibili per i produttori.
Un puzzle industriale senza soluzione miracolosa
L’idea di produrre esclusivamente in Nord America si scontra frontalmente con la realtà economica. L’industria automobilistica è un mostro globalizzato: pazzi messicani, chip elettronici cinesi, motori canadesi… Ogni componente è ottimizzato per ridurre i costiun lusso difficile da riprodurre nelle fabbriche americane dove la manodopera è più costosa. E quando i produttori devono scegliere tra pagare i dazi doganali o investire nelle infrastrutture locali, il calcolo è presto fatto: a pagare il conto saranno i consumatori. L’impatto di queste tasse potrebbe essere devastante. Aumentando il costo dei veicoli importati, ridurrebbero meccanicamente l’offerta disponibile sul mercato. Meno scelta, più pressione sui prezzi: gli acquirenti potrebbero vederli salire alle stellecome è avvenuto nel 2021 durante la crisi dei semiconduttori.
Peggio ancora, l’effetto domino colpirebbe anche il mercato dell’usato, solitamente rifugio per piccoli budget. Le azioni di General Motors sono crollate del 9% dopo l'annuncio, mentre Ford e Stellantis sono scese rispettivamente del 3% e del 6%. Anche Toyota e Honda, che assemblano numerose automobili sul suolo americano, ne risentono, segno che nessuno uscirà indenne da questa riforma. L’idea di una tassazione massiccia potrebbe avere effetti perversi anche sulla competitività interna. Se i produttori stranieri si trovassero penalizzati da costi proibitivi, i produttori americani potrebbero approfittarne per gonfiare i propri margini senza aumentare la produzione. Risultato: un’industria ancora più concentrata, meno innovativa e i consumatori intrappolati in una spirale di aumenti dei prezzi.